Forlì, dicembre 1917: in una città provata dalla guerra, un gesto misterioso accende inquietudini e rivela le tensioni di un Paese allo stremo
Nel dicembre del 1917 l’Italia vive uno dei suoi inverni più cupi. La Grande Guerra, entrata nel suo quarto anno, ha logorato esercito e popolazione, mentre l’eco della disfatta di Caporetto pesa come un velo di sconforto sul Paese. Le città romagnole, lontane dal fronte ma non dal sacrificio, respirano un clima di attesa inquieta: si stringono i denti, si razionano beni essenziali, si rincorrono notizie che alternano speranza e paura. In questo scenario, Forlì diventa uno specchio esatto del tempo, un piccolo osservatorio da cui filtrano ansie, gesti di solidarietà, improvvisi scatti di protesta.
Così, in quel mese, mentre la guerra consuma ogni energia del Paese, a Forlì si alternano annunci amministrativi, lutti e inquietudini. Proprio in quei giorni, “Il Sindaco con un suo avviso rende noto che dal 1° Dicembre sarà aperto in Piazza Garibaldi (oggi Cavour) uno spaccio comunale di formaggio lodigiano”: un segnale di economia di guerra che tenta di rispondere alle necessità quotidiane della popolazione. Anche perché, simultaneamente, “crescono di prezzo i biglietti ferroviari; del 50% quelli di prima e seconda classe, del 30% quelli di terza”.
A consegnarci questi frammenti di storia è Filippo Guarini che, nel suo attento “Diario Forlivese” non si lascia sfuggire nulla. Rileggere oggi quelle pagine significa riconoscere dinamiche che, pur in contesti profondamente diversi, non ci sono del tutto estranee. E il compilatore del Diario non poteva omettere un fatto, il giallo del 6 dicembre: “La notte scorsa – scrive Filippo Guarini – ignoti individui, forzata la porta d’ingresso dell’Ufficio di Leva in Prefettura, hanno messo in disordine le carte delle scansie, e facendone un mucchio nel mezzo, insieme ad una bandiera nazionale che vi era, gli hanno dato fuoco, poi sono fuggiti”. Un atto ostile, difficile da interpretare, che rimane sospeso tra gesto vandalico, protesta anonima e sfogo disperato in un anno segnato da sconfitte e tensioni.
Intanto la città si mobilita per il Natale dei militari al fronte. “Si stanno raccogliendo doni da mandare ai soldati al fronte (...). Questi doni natalizi faranno sentir loro l'affetto della grande famiglia italiana, che sempre pensa con fede ai figliuoli lontani”. È il 15 dicembre e, tra le righe, si avverte il bisogno di speranza. L’indomani, un’altra notizia arriva dall’estero e riaccende il fervore religioso: “dopo la messa del soldato, i cappellani militari intonano il Te Deum per la presa di Gerusalemme fatta dall’Esercito inglese che ha liberato dai turchi i Luoghi Santi”. Durante la celebrazione, “si è cantato il Coro nell’Opera ‘I Lombardi alla prima Crociata’ del M° Verdi”: un richiamo simbolico alla storia delle crociate, che sembra fondersi con le cronache della Grande Guerra.
Ma la Forlì del dicembre 1917 non è soltanto teatro di slanci patriottici: è anche una città impaurita. Il 20 dicembre Guarini riporta episodi che, scrive, sono “sulle bocche di tutti”: “A un tale che andava a casa furono portate via Lire 3100; una signorina fu malmenata e depredata di orecchini, braccialetti ed orologio; sarebbero tre gli autori del delitto. Le strade sono senza luce, quindi facili simili misfatti; ma duole saperli commessi da soldati”. Nell’ultima pagina dell’anno, il diarista abbozza un bilancio severo del “doloroso 1917”, segnato da lutti, miseria e insicurezza. Un barlume positivo, tuttavia, sembra risollevare lo spirito: “una sola cosa consola e inorgoglisce, ed è il valore della gioventù romagnola, della forlivese in ispecie, che sempre, anche nei recenti disastri, si è mostrata pari alle sue gloriose tradizioni”.

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