Breve panoramica sulla stampa locale clandestina di inizio Ottocento per scrivere la prima grammatica del Risorgimento
Tra il 1815 e il 1825 Forlì fu una delle città più sorvegliate dello Stato Pontificio a causa della presenza di associazioni carbonare, numerose e ramificate, la partecipazione di nobili e artigiani, la vicinanza con le altre città romagnole ne fecero un epicentro del movimento carbonaro. Qui si intrecciavano politica e cultura, musica e cospirazione, fede e ribellione. Il caso di Pietro Maroncelli, musicista patriota, è esemplare: il suo talento musicale fu sacrificato sull’altare della libertà, e la sua vita divenne leggenda. Ma non era solo: centinaia di forlivesi anonimi giurarono con un pugnale in mano, tennero riunioni segrete nelle case e nelle ville, rischiarono la prigione o l’esilio.
La sentenza del cardinale Rivarola del 31 agosto 1825 non si limitava a condannare gli affiliati alle società segrete. Un intero paragrafo era dedicato alla circolazione di “fogli anonimi periodici” nelle Romagne, e in particolare a Forlì. Secondo i giudici, questi scritti miravano ad “alienare lo spirito pubblico dal legittimo governo”, preparando così il terreno alle insurrezioni. Tra i periodici citati spicca L’Illuminatore: era uno dei tanti fogli manoscritti che giravano di mano in mano, copiati e ricopiati, letti ad alta voce nelle osterie, nelle botteghe, persino nelle sacrestie. La polizia sequestrava lettere, manoscritti, opuscoli; eppure, nonostante la sorveglianza, i fogli continuavano a circolare.
Uno dei fogli più famosi fu il Quadragesimale italiano, datato 24 febbraio 1819: undici scritti, attribuiti da una perizia calligrafica all’avvocato forlivese Giovan Battista Masotti e a Domenicantonio Farini di Russi, esprimevano in forma satirica e polemica i principi della Carboneria. Il titolo richiamava i sermoni quaresimali, ma in realtà si trattava di veri “sermoni politici” che criticavano il potere temporale, chiedevano costituzioni e libertà denunciando altresì l’oppressione austriaca. Le indagini processuali confermarono il ruolo di Masotti e Farini, e lo stesso Maroncelli ne riconobbe l’autenticità. La forza del Quadragesimale stava nel linguaggio: diretto, popolare, ricco di immagini religiose che rovesciavano la predicazione tradizionale. La Chiesa tuonava contro i carbonari? Ecco che i carbonari rispondevano con i loro “vespri rivoluzionari”. Era un modo geniale per parlare al popolo con strumenti familiari ma piegati al loro scopo.
Nel 1820, come continuazione del Quadragesimale, nacque il Raccoglitore romagnolo. Il primo numero porta la data del 31 gennaio e i compilatori si proponevano di pubblicare ventiquattro numeri in un anno. Ne conosciamo oggi undici, fino al 15 giugno, raccolti in un fascicolo manoscritto di 276 pagine. Probabilmente redatto a Forlì da un gruppo di patrioti romagnoli, tra cui ancora Domenicantonio Farini, il Raccoglitore non riportava mai la città d’origine: si firmava soltanto con la dicitura “Romagna”, a confermare l’intento di parlare a tutta la regione. Ogni numero conteneva articoli di attualità, satire contro il potere, analisi politiche. E c’era anche una minaccia: chi riceveva il foglio era obbligato a renderlo pubblico, altrimenti sarebbe stato punito. Questa dichiarazione rivelava l’essenza dei fogli clandestini: non erano semplici giornali, ma strumenti di militanza, che spingevano alla diffusione forzata delle idee. Il Raccoglitore trasformava ogni lettore in propagandista.
Tra i fogli clandestini della Romagna, L’Illuminatore è considerato il più originale e brillante. Lo stile vivace, la satira pungente, l’analisi politica matura lo resero celebre persino tra gli avversari. Di questo giornale circolarono vari numeri tra il 1819 e il 1821. Accanto ad esso si collocavano le Notizie del mondo, Gazzetta straordinaria italiana (1820), che portavano come epigrafe un verso di Orazio: Libera per vacuum posui vestigia (“Ho posto il mio passo libero in uno spazio vuoto”). Questi fogli erano armi di carta: servivano a diffondere tra artigiani, studenti, preti e nobili un linguaggio comune di ribellione. Erano il “giornale rivoluzionario” prima ancora che esistesse una stampa libera. Attraverso di essi, Forlì e la Romagna partecipavano al grande dibattito europeo sull’indipendenza e sulla libertà.
Nel 1820 comparve un’opera intitolata La Confessione di un forlivese. È un dialogo tra un giovane mercante e il suo confessore. Il giovane dichiara di non appartenere a nessuna setta, ma di essere guidato dalla ragione e dall’amore per l’Italia. Denuncia le trame dei re e dei principi contro i popoli, e invoca riforme: libertà di stampa, rappresentanze nazionali, uguaglianza davanti alle leggi. Il confessore lo ammonisce: “Se i sovrani concedessero queste libertà, verrebbe la rivoluzione”. E il giovane risponde: “Ho abbracciato la causa popolare, guidato dall’umanità e dalla giustizia, per contrastare le trame dei Re contro le Nazioni”. Questo testo, datato 1820 e firmato da “un giovane desideroso il comun bene”, mostra bene come il malcontento stesse diventando coscienza politica. Non più solo rabbia, ma una visione chiara di libertà e diritti naturali. La Confessione apparteneva allo stesso clima che vide nascere il Raccoglitore, le Notizie del mondo e l’Illuminatore: un mondo di penne segrete che scrivevano la prima grammatica del Risorgimento.

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