Forlì e il culto perduto di Giove Tonante. Ipotesi e chiacchiere su verità che restano ancora sotto terra
Un nume ancestrale, spaventoso e chiassoso: Giove Tonante. Il nome risulta anche simpatico, se collocato in modo bizzarro tra strade che evocano ricordi risorgimentali. Dunque Forlì, in tempi relativamente recenti (nel catasto gregoriano non vi è traccia di una strada che porti questo nome) ha dedicato una via, benché angusta, al dio supremo della mitologia romana. Pare infatti che tra l’omonima via e piazza Cavour esistesse un tempio a lui dedicato, forse sotto quello che fu il cinema Apollo (nome che però ha altre origini). Si deve ammettere che però della Forlì romana non è stato identificato con esattezza neppure il foro, che alcuni ubicano nell'area di Palazzo Reggiani (corso Garibaldi) ed altri posizionano nel sito dell’ex Chiesa di Santa Maria in Piazza, non lontano da via Giove Tonante. Lì, infatti, tra via delle Torri, via Mentana, piazza Cavour, potrebbe essere sorto il tempio in età romana. A corredo, le ricognizioni storiche sui quartieri e le chiese medievali, come San Pietro “in Scotto”, tra le attuali vie Biondini, Giove Tonante e Pedriali, aiutano a leggere la persistenza di poli religiosi nella città antica e poi medievale.
Un filo sottile, come già scritto in un’altra puntata di questa rubrica, lega la città alla stagione augustea, quando il culto del dio del tuono — colui che “parla” con la voce del cielo e brandisce il fulmine a tre punte — fu rilanciato dall’Imperatore dopo un prodigio avvenuto in tempesta. Augusto inaugurò a Roma il tempio di Giove Tonante, riportando in auge un culto arcaico che da allora filtrò nelle comunità municipali. Forum Livii, la città “di Livia” (la moglie dell’Imperatore), crebbe sotto questo stesso cielo, in un clima di riforme e simboli augustei. Il consolidamento della città pare infatti legato a Livia Drusilla, moglie di Augusto, la quale nel territorio della Romagna svolge un ruolo simbolico: Forlì cresce “protetta” da lei, la città che porta il nome Forum Livii, cioè “mercato del (o fondato da) Livio”, dove Livio è il casato latino o allusione a Livia. In questo senso Forlì è città che si fa sotto la guida della donna imperiale e sotto la protezione del signore del cielo.
Il riferimento a Giove Tonante, nel nome stesso e nella memoria, suona come promessa di protezione celeste e di ordine civile. Del resto, Sigismondo Marchesi scommette che i numi “à quali furono più divoti i forlivesi” fossero “i maggior de’ Dei Giove, e Giunone, sì per le vestigia del tempo, che si son’andate scoprendo in un colle di questo distretto, sì per una statua marmorea di Giunone col pavone à piedi” e pure “per le seguenti memorie votive trovate nel medesimo luogo”. Tra le iscrizioni antiche dedicate a Giove Tonante, si trova spesso il cartiglio “I.T.O.M.”, sigla di Iovi Tonanti Optimo Maximo (“a Giove Tonante Ottimo e Massimo”), la formula latina che ricorda la sacralità della dedica. Si può ipotizzare che anche in questi territori esistesse una stele, forse inscritta, che recava quel cartiglio e segnalava un luogo sacro o un culto locale.
Le iscrizioni raccolte in città e nei dintorni (per esempio a Marsignano) svelano un panorama devozionale pagano ancora non del tutto chiaro ma sufficientemente ricco. I Foroliviensi veneravano Giove, perché propizio (obsequens) e vittorioso (victor), ma anche Giunone per difendere la città da disordini e sventure, nonché Sanco, antica divinità che sorvegliava i giuramenti. A essi si aggiungevano Ercole, simbolo di forza e coraggio, e il Genio del luogo, spirito silenzioso che vegliava sulla comunità. Così Giove non era soltanto il signore del cielo, ma il garante della giustizia e della fedeltà, il custode del patto tra gli uomini e gli dèi. Un tuono improvviso o un lampo sulle colline bastavano a ricordare la sua potenza e la sua vicinanza.
Nella Roma augustea il culto di Giove Tonante aveva un calendario preciso: il 19 agosto si celebravano i Vinalia Rustica, ricorrenza in cui il flamine dialis offriva al dio il vino nuovo e sacrificava un agnello, pregando per cieli sereni e raccolti prosperi. Giove era Tonante, “colui che tuona”, e Pluvio, “colui che porta la pioggia”: due volti della stessa forza, quella che può nutrire o distruggere. Il 23 agosto, durante le Vulcanalia, si accendevano fuochi per onorare Vulcano e per chiedere, insieme a Giove, che fulmini e incendi non devastassero case e granai. Il 13 settembre, infine, i contadini offrivano buoi bianchi e bruciavano foglie di alloro per tenere lontane le tempeste, mentre gli auguri scrutavano le nubi cercando nei lampi i messaggi divini.
Ma il dialogo con Giove non si esauriva nei templi. Si può immaginare che i Foroliviensi, analogamente a quanto accadeva a Roma, praticassero piccoli riti domestici: amuleti a forma di fulmine, libagioni di vino durante i temporali, formule invocate a voce alta: “Iuppiter Tonans, serva domum!”, Giove Tonante, proteggi la casa! Ogni tuono era più di un rumore nel cielo: era la voce del dio che vegliava su città e campagne, un segno di equilibrio precario tra la paura e la speranza.
Forlì conserva dunque, nel sottosuolo ancora in attesa di essere scoperto, il ricordo di quel dio rumoroso e terribile che ammoniva e proteggeva, accanto alla presenza più mite e costante di Giunone, che custodiva la città, le famiglie, i parti e i giuramenti d’amore. Giove e Giunone, il tuono e la casa, il fulmine e il focolare. Una coppia divina reinterpetata dai foroliviensi: dove lui, benché benevolo, minaccia e strepita, ma lei poi mette a posto le cose.

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