Forlì, settembre 1857: furto con pseudonimo alla Locanda del Vapore, gestita dal garibaldino Capaccini
Arrivò a piedi l’11 settembre 1857 tra le 10 e le 11 del mattino: era venerdì. Si qualificò come Tommaso Iucca, tintore di Foligno diretto a Imola da Jesi. Una sacca in spalla, modi riservati, nessuna ostentazione. Fu registrato nel libro dei forestieri della Locanda del Vapore di Forlì e alloggiato nella stanza n. 9, al secondo piano. Nessuno, tra gestori e avventori, notò nulla di insolito. Rimase lì per tre giorni, osservando senza dare nell’occhio.
Nella notte tra il 13 e il 14 settembre, quando tutti dormivano, entrò con chiavi autentiche nelle stanze n. 10 e n. 8, dove erano riposti effetti personali dei gestori e di altri ospiti. Si sa pure che tra i dormienti c’era tale Eliseo Muratori “che vi stava alloggiato qual domestico di certi ingegneri, che erano in volta pei lavori della Via ferrata Pio-Centrale”, erano infatti gli anni in cui si stava tracciando da queste parti la linea ferroviaria. “Le uniche persone che trovansi nell’accennata notte in Locanda – si legge nei verbali della Polizia - erano, oltre il Iucca, Muratori, cameriere Luigi Fabbri, coniugi Capaccini e figlio loro Leonida, un Caporale di Finanza certo Raffaele Baldini che alloggiava e dormiva in separato letto nella stessa Camera del Iucca; ma egli non s’accorse punto dell’abbandonare che fece Costui la Camera; nè da alcuno che si sappia fu visto, allorchè il Iucca si allontanò dalla locanda medesima”.
All’alba, il “guattero” Livio Zagnoli trovò l’ingresso aperto e un gran buttasù. Diede la colpa in un primo istante alla lavandaia per poi rendersi conto del delitto. Il ladro non aveva forzato serrature. Aveva arraffato biancheria, abiti – compresi paltò, “calzoni di Casmir cangiante e una sciarpa di seta color pavonazzo a globetti verdi” – e altri oggetti di uso privato. “In quanto agli effetti derubati nella Camera N. 10 – precisa il verbalista - furono un misto di vestiti, biancherie da dosso e calzature spettanti ai Capaccini padre e figlio, al cameriere Fabbri ed al suindicato Muratori, esistenti colà in un Baule ed in un Armadio chiusi a chiavi, le quali restavano però nelle relative esterne toppe. Quelli poi involati nella Camera N. 8, i quali erano di ragioni dei Capaccini, consistettero soltanto in quattro lenzuoli di tela Canepa, e due Coperte”.
Parte della refurtiva venne abbandonata nelle scale e nell’androne, segno che la fuga fu improvvisata e non priva di imprevisti. Se la porta principale della locanda era stata ritrovata chiusa dall’interno, con la chiave infilata nella toppa interna, il ladro aveva agito dall'interno e che era uscito dopo aver serrato la porta. Tra chi alloggiava lì quella notte, uno solo non fu rintracciato la mattina successiva: il sedicente Iucca era scomparso. Il cameriere Fabbri “lanciavasi tosto alla volta d’Imola” su un “biroccino”: era là che, a quanto aveva detto il furfante, si sarebbe diretto. Invece l’accusato stava correndo nella direzione opposta. Nel frattempo, una sacca contenente parte degli oggetti rubati fu rinvenuta sotto un ponticello rurale.
Il 16 settembre 1857, Iucca venne arrestato a Pesaro e si venne a sapere che non era mai esistito. Si chiamava Domenico Brunori, figlio del fu Giambattista, sarto di Fano d’anni 24, recidivo, scapolo e vagabondo. Sarebbe giunto nelle carceri di Forlì il 27 marzo 1858 accusato di “furto semplice di effetti, specialmente di vestiario, a pregiudizio di Raffaele Capaccini conduttore della Locanda del Vapore”. Nel momento dell’arresto, in tasca gli trovarono: un passaporto falso intestato a Tommaso Iucca, denaro in quantità non giustificata e ulteriori elementi sospetti. Alla richiesta di chiarimenti, dichiarò di non ricordare le tappe del viaggio. Aggiungeva di aver rasato la barba per non essere riconosciuto. Disse di provenire da varie città, senza fornire indicazioni verificabili.
Il processo, iniziato con gli atti di dissigillazione e riconoscimento degli oggetti da parte delle vittime, si basò sul ritrovamento ravvicinato della refurtiva, sulle testimonianze di chi era presente, sul fatto che fosse stato visto aggirarsi in locanda nei giorni precedenti con naturalezza e sull’indizio materiale decisivo: la chiave dall’interno. La dichiarazione delle persone derubate, che riconobbero gli oggetti “propri e pertinenti ai medesimi”, venne ritenuta attendibile. Le deposizioni degli ufficiali della forza pubblica confermarono che l'uomo identificato come Iucca non aveva avuto modo né legittimità per accedere agli ambienti interni se non grazie alla misura preventiva della sua permanenza in locanda. Durante l’istruttoria, risultò recidivo per furti in altre città mentre il giudice notò come tale condotta non potesse essere attribuita a necessità, ma a sistematica inclinazione, aggravata dall’uso di false generalità e passaporto contraffatto. Non venne tuttavia considerato violento poiché non vi furono effrazioni o lesioni. Il valore complessivo degli effetti sottratti fu stimato in 34 scudi e 68 bajocchi. In base al potere d’acquisto, oggi questa cifra potrebbe voler dire poco meno di duemila euro. Il 31 marzo 1859, presso il Tribunale Civile e Criminale di Forlì, il giudice Giuseppe Marchesini concluse che Domenico Brunori era colpevole. Fu condannato sia per furto sia per contravvenzione al precetto, con riferimento alla recidiva.
La Locanda del Vapore di Borgo Cotogni, intanto, non cessò l’attività. Era situata lungo l’allora corso Vittorio Emanuele, nel settecentesco Palazzo Rossini, nei locali della famiglia Zambianchi, con accesso anche da via Baratti. Su quell’area ora c’è il palazzo della “Cassa Rurale”, ex sede dell'Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale a Forlì, poco distante dal Suffragio. L’insegna “Albergo del Vapore” vi rimase ben visibile fino al 1921, richiamando la struttura citata dalla Guida di Calzini e Mazzatinti (1893) alla voce “Alberghi e Trattorie”, nota per prezzi modesti e frequentata da viandanti e commercianti. forestieri provenienti dalla montagna che giungevano a Forlì per trattare affari nel Cantone di Mozzapè. Il conduttore della locanda all’epoca del furto era Raffaele Capaccini, figura conosciuta anche per il suo impegno politico. Le cronache locali ricordano che tra coloro che sostennero Garibaldi spiccava proprio lui, il locandiere Raffaele lo aiutò, nell’estate del 1849, nel passaggio forlivese della “trafila”. Egli, inoltre, faceva parte della Giovine Italia, e, come il fratello Carlo, partecipò ai moti e alle campagne militari sin dal 1821. Leonida, il figlio, fu volontario garibaldino. Oggi, nei pressi di via Campo degli Svizzeri, una piccola porta non a caso il nome dei fratelli Carlo e Raffaele Capaccini.

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