Forlì, la nascita come “città plurale” brancolando tra ipotesi e lacune
Il Foro di Livio prima di Livio. Già è difficile avere certezze sulla storia di Forlì fino all’alto medioevo, figuriamoci sondare terreni di selve e di paludi presenti ben prima di strade consolari e della geometria della centuriazione. Non si tratta di storiografia rigorosa, almeno per come la si intende in questo secolo, però è piena di fughe suggestive, dettate da leggende popolari o da fonti che si sono perdute nel tempo. Così, per esempio, l’opera di Sigismondo Marchesi fornisce dettagli benché sfumati di un racconto che ha più il sapore del mito che della cronaca. Ma è proprio in queste fughe suggestive che si cela il fascino delle origini della città, e in particolare del suo legame con l’enigmatica formula latina: Forum Clodj quatuor Populi. Questo sarebbe uno dei nomi, forse il più sfuggente, attribuibile a Forlì. Lasciando perdere l’identità del Clodio misterioso, chi erano quei “quattro popoli” di cui si fa menzione?
Nei testi romani, espressioni come quattuor populi Albenses o quattuor populi Etruriae servivano a indicare confederazioni tribali o ripartizioni territoriali in quattro parti. Anche per Forlì, dunque, l’idea è che la città sia sorta dal contributo o dalla coesistenza di quattro stirpi. Qui iniziano le ipotesi. Alcuni hanno pensato a Lingoni e Senoni, le due tribù galliche che dominarono l’area tra il Reno e il Mare Adriatico; altri vi hanno visto un insieme più composito, con Etruschi e Umbri accanto ai Celti; altri ancora hanno voluto includere persino i Romani, come a sottolineare la natura di Forlì quale crocevia di genti.
Se guardiamo alle tracce storiche e archeologiche, emerge un quadro sfaccettato. Gli Etruschi sono presenti nel territorio forlivese ben prima dell’arrivo dei Galli: la località di Ficline, menzionata nelle fonti, sorgeva su un confine delicato, proprio là dove Senoni e Lingoni si dividevano i territori. Gli Umbri, popolazioni centro-italiche, vengono ricordati dalle cronache come abitanti di queste zone preromane, poi costretti a ritirarsi o a fondersi con gli invasori. I Celti, soprattutto i Senoni e i Lingoni, dominarono la Romagna per oltre un secolo, fino alla conquista romana. E resta sempre, misteriosa, la possibilità di un quarto popolo autoctono, di cui non conosciamo il nome, genti indigene che precedettero i nuovi arrivati e lasciarono solo tracce invisibili nella memoria.
Marchesi, tuttavia, aggiungeva un quarto nome preciso: gli Anani. Chi erano? Gli Anani non compaiono tra le grandi popolazioni celtiche, probabilmente corrispondono a una tribù minore, forse un ramo locale degli Anari o Anamari attestati a sud del Po. Non abbiamo prove archeologiche forti, ma solo riverberi nelle cronache tardive. È probabile che il loro ruolo nei racconti fosse più simbolico che reale: un popolo “di completamento”, inserito nel mito per dare alla narrazione la perfezione del numero quattro. Pertanto, per quanto concerne i quattro, si tratterebbe esclusivamente di Galli, cioè Celti: Lingoni, Senoni, Anani (o Egoni) e Boi. “Doveché – scriveva infatti Marchesi nella sua lingua secentesca - se il nome di quattro Popoli fu dato a Forlì, ne furono forse autori i quattro Popoli Galli sopracontati, che havendo forse insieme in que’ principij l’imperio misto di queste terre, si dovettero quivi in mezzo quasi di tutto il tratto occupato fabbricare questa Città, ed habitarla quadripartitamente secondo il numero delle nationi”. Due “forse” in poche righe urlano l’impossibilità di saperne di più. Se così fosse, sarebbe un caso unico: Forlì sarebbe nata su accordo di spartizione e condivisione tra più stirpi diverse, un esperimento sociale decisamente nuovo, un condominio urbano di cugini in terre rese ombrose da selve e umide da paludi.
Il mito dei quattro popoli si lega inevitabilmente alle grandi migrazioni galliche in Italia. La prima ondata, nel Sesto secolo a.C., portò nel settentrione tribù come i Taurini, gli Insubri, i Cenomani, i Vertamocori, gli Orobi e i Salassi, stanziatisi tra Piemonte, Lombardia e Veneto. La seconda migrazione, tra il 420 e il 400 a.C., spinse nuove genti a sud: i Senoni, i Lingoni e i Boi varcarono gli Appennini e occuparono vaste aree della Romagna e delle Marche, scacciando Etruschi e Umbri.
I Senoni, il cui nome potrebbe derivare dalla radice indeuropea senior (“i Saggi”), lasciarono il segno nella toponomastica: il fiume Senio, la città di Senigallia, la località di Senatello nell’entroterra riminese. I Boi, “i Conquistatori” (bogos), presero l’etrusca Felsina e la trasformarono in Bononia, ribattezzarono il Reno in ricordo della loro patria d’origine, l’omonimo fiume tedesco, e diedero il nome a intere zone. I Lingoni, provenienti dalle valli tra Senna e Marna, si stanziarono nel Ravennate e nel Ferrarese: il loro nome, che significa forse “i Saltellanti”, conserva l’eco di riti danzanti, sacri o guerrieri. Dentro questo quadro, Forlì non poteva che nascere come punto di contatto e pare che la frazione Ronco fosse l’ultimo avamposto meridionale dei Lingoni con il fiume quale confine naturale prima di entrare nel territorio controllato dai Senoni. Tuttavia pure Marchesi non spinse tanto su Forlì come città originata da quattro nazioni galliche, lasciando in sospeso il discorso, passando al lettore “il giudicio” su questa storia, “non così facilmente sottoscrivendola”.
E, detto questo, se invece l’espressione “Populi” significasse “Pioppi”? In Latino, in effetti, la medesima parola ha questi due significati. Nel mondo celtico i pioppi avevano un ruolo forte: erano gli alberi del confine, della soglia tra i mondi, della comunicazione con l’aldilà. Le loro foglie tremule erano lette come voci del vento e dell’anima. Non erano sacri quanto la quercia o il frassino, ma rappresentavano resistenza, rigenerazione, la vita che ritorna. Quattro pioppi, disposti a delimitare un villaggio, evocavano i quattro punti cardinali e ordinavano lo spazio umano in un equilibrio cosmico. Forlì, “la città dei quattro pioppi”, avrebbe così avuto una protezione sacra, un’identità naturale e simbolica. Anche nel mondo culturale etrusco il pioppo non era l’albero della stabilità ma della trasformazione, del limite. Quattro pioppi piantati ai lati di un insediamento potevano significare un luogo completo, in cui la vita della comunità era in armonia nonostante la presenza di più popoli in essa.
E ancora: il ricordo dei “quattro” si lega – in tempi diversi o simili, non si sa – a un’antica tradizione che vede Forlì fondata dall’unione di quattro “castelli”, corrispondenti in parte agli attuali rioni storici. Forse villaggi residui della preistoria, relitti di popoli senza nome, scesi centinaia di migliaia di anni fa dalle spiagge ancestrali e sabbiose di Monte Poggiolo. Non è dunque difficile immaginare che l’impianto quadripartito della città, tra storia e urbanistica, rispecchi un archetipo antico, ripreso e trasformato nei secoli.
La storia romana ci dice che, dopo la sconfitta dei Senoni al lago Vadimone nel 283 a.C., anche Boi e Lingoni furono progressivamente domati. La costruzione della via Flaminia (220 a.C.) e della via Emilia (187 a.C.) consolidò il dominio romano, e da allora fu veramente Romagna. Forlì per certo non è solo il Forum Livii, né solo l’eredità di Etruschi, Umbri e Galli. È la città che (forse) qualcuno ha voluto trascrivere come figlia di quattro popoli, o di quattro pioppi, o di quattro castelli. Una singolare identità plurale che continua a essere viva.
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