Costanzo II passò per Forlì lasciando dietro di sé più dubbi che certezze. E una colonna che si contraddice
Chi si fa domande si sarà chiesto chi fosse quel Costanzo II cui a Forlì è dedicato un viale alberato nella zona industriale, tra via Correcchio e la Cervese. Il nome è quello di un Imperatore romano, non certo tra i più noti o popolari. Era nato nel 317 a Sirmio, nell’odierna Serbia, figlio di Costantino il Grande e di Fausta. Cresciuto all’interno della dinastia costantiniana, salì presto ai vertici del potere: nel 324 fu proclamato Cesare con competenza sull’Oriente e, dopo la morte del padre, si divise l’Impero con i fratelli. La sua lunga parabola politica lo vide dapprima coinvolto in sanguinose lotte dinastiche, poi protagonista di guerre contro usurpatori e infine unico Imperatore fino al 361. Fu un sovrano complesso: abile amministratore, attento alle finanze e alle difese, ma diffidente e crudele nei confronti dei rivali. Combatté a lungo i Persiani senza mai piegarli, respinse le incursioni sul Danubio e sul Reno, rafforzò la corte con un cerimoniale sempre più rigido e distaccato.
Bene, ma cosa c’entra con Forlì, perché dargli tanto risalto?
Il suo nome è ricordato anche grazie a un’antica colonna marmorea che oggi si trova sul sagrato della chiesa di Santa Maria in Acquedotto. Si tratta di un miliario, probabilmente in origine collocato lungo la via Emilia, che conserva due diverse iscrizioni legate alle turbolenze politiche del IV secolo.
La prima dedica è rivolta all’usurpatore gallico Magnenzio, proclamato imperatore in Gallia da un complotto militare nel 350. Sul cippo compare un testo di forte contenuto propagandistico, che lo celebra come “liberatore dell’orbe romano, restauratore della libertà, custode dello Stato, protettore dei soldati e dei provinciali, vincitore e trionfatore, sempre Augusto”. Curiosamente, il nome di Magnenzio non compare: un’assenza probabilmente determinata dalla “damnatio memoriae”. Le parole scolpite a Forlì sono pressoché identiche a quelle di altri miliari diffusi in Italia, e sottolineano le promesse di tutela verso i soldati, in cerca di migliori condizioni di servizio, e verso i contribuenti oppressi dalle tasse.
Dopo la sconfitta di Magnenzio — battuto prima nell’Illirico nel 351, poi definitivamente da Costanzo II sulla Drava, fino a darsi la morte a Lione nel 353 — l’iscrizione divenne imbarazzante. Il cippo fu allora capovolto, in segno di disprezzo per lo sconfitto, e sulla parte opposta fu incisa una nuova dedica, questa volta rivolta a Costanzo II: “Flavio Giulio Costanzo, nobilissimo Cesare”.
“D’antico non resta oggi che il marmo, - si legge nel documento dell’odonomastica comunale - poiché un arciprete (1600-1700) fece riscolpire le lettere deteriorate dal tempo e, fatta un’incisione a incastro
nella parte superiore, vi pose sopra una croce di legno e trasferì il cippo in chiesa. Il vescovo Tomba (1836-1845) lo fece togliere e rimettere all’esterno della chiesa”.
Fonti maggiormente autorevoli di chi scrive sostengono che l’iscrizione di Costanzo II (sul trono dal 337 al 361) preceda quella di Magnenzio (usurpatore dal 350 al 353). La dedica di propaganda al secondo è infatti a favore di chi legge, mentre quella del primo è capovolta.
Qui, però, si ritiene più ragionevole il contrario e il motivo del capovolgimento potrebbe essere stato causato nel corso della manomissione secentesca dell’arciprete che ebbe ritoccato l’iscrizione – più ricca e bella a vedersi – per Magnenzio. E sarebbe più corretto dire “forse” per Magnenzio, perché non è sicuro nemmeno questo, benché da decenni a questa parte lo si dia quasi per scontato. Resta il fatto che il monolite di Pieveacquedotto rimane una testimonianza della politica convulsa e volubile del tempo.
Immaginare Costanzo II lungo la via Emilia non è un esercizio di fantasia: l’Imperatore percorreva spesso l’Italia per raggiungere Milano, capitale imperiale in più momenti della sua vita, e Forlì era una tappa strategica di quel percorso. È verosimile che la comunità locale abbia voluto onorarlo con un’iscrizione, come accadeva in altre città.
Sigismondo Marchesi colloca con certezza “nell’anno di nostra salute 356” l’arrivo di Costanzo II a Forlì, “quando portandosi da Milano a Roma, vi trionfò di Magnentio Tiranno estinto”. E la colonna “alta otto cubiti” ne è testimonianza.
Per Marchesi, Costanzo era “veramente degno di tutti i titoli d’un buon Principe” tuttavia era “fautore della perfida setta de gli Ariani, che ridusse a pessimo stato il Cattolichismo”.
Ecco dunque più verosimile un suo passaggio da queste parti se si considera che sul piano religioso aveva scelto di sostenere l’arianesimo contro la dottrina di Nicea, favorendo i suoi vescovi e perseguitando gli avversari: questioni che suonano ardue ai profani ma si tratta di un momento storico in cui si stava depositando il “Credo” della Chiesa non senza controversie e dispute. Come fu al Concilio di Rimini del 359, convocato dallo stesso Costanzo II.
Qui avrebbe incontrato Mercuriale, vescovo di Forlì, la cui presenza è storicamente attestata all’assise ecclesiastica. Recenti studi collocano la vita del Santo prima di questo evento, forse si tratta di un suo omonimo successore. In tale occasione, Costanzo e Mercuriale si sarebbero trovati su fronti opposti: l’uno affine all’arianesimo, l’altro al cattolicesimo di Nicea.
Ebbene, un motto a lui attribuito da Ammiano Marcellino recita più o meno così: “La perfetta verità è sempre semplice”. È infatti plausibile che Forlì sia davvero stata una tappa nel suo viaggio da Milano verso Rimini e che i liviensi con sobria oculatezza abbiano pensato di riutilizzare il monumento già dedicato a Magnenzio dannandone la memoria, sovrascrivendo il nome del nuovo principe. Un omaggio riciclato, dunque, forse uno scherzo di Mercuriale: fiero avversario dell’eresia ariana.

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