Il coraggio di Antonia

Dipendenza e disperazione: nel 1859 la denuncia di una madre forlivese per salvare il figlio dall'alcolismo


Il 19 febbraio 1859, una vedova della parrocchia dei Romiti si presentò alla Polizia portando con sè un fardello di dolore non da poco. Antonia Frattini, già moglie di Giovanni Bruschi “oltremodo afflitta per la cattiva condotta del proprio figlio” si vide costretta a segnalare il giovane “d’anni 34 circa”. Pietro Bruschi, infatti, “di professione scoparino” e residente “in via del Stradone” era caduto tra le braccia dell’alcolismo. Come molti altri forlivesi, del resto, vista l’abbondanza di vino a basso costo, la diffusione delle osterie (oltre trenta nel solo centro storico popolato allora da 16mila abitanti), la fragilità economica dei ceti più umili. E il vino, si sa, dà alla testa, come per altro quello somministrato nelle numerose bettole di Forlì che si contendevano il primato di mescere il miglior sangiovese di tutto il territorio. 

Secondo le relazioni sanitarie dell’epoca il vino non era soltanto bevanda conviviale, ma alimento quotidiano, integrato nella dieta dei braccianti. Tuttavia, l’abuso si traduceva in fenomeni di degrado fisico e morale. Il regolamento pontificio di polizia urbana puniva con arresto e multa gli avvinazzati che avessero dato in escandescenza con chiasso o atti scandalosi. Così fioccavano segnalazioni per le frequenti risse in osteria e criminalità che ne conseguiva. Come se non bastasse, sempre le osterie erano spesso luoghi di discussione politica e di diffusione delle idee dei “faziosi”, tali erano definiti coloro che prendevano le parti delle istanze risorgimentali. L’etilismo, inoltre, colpiva soprattutto i ceti popolari, in particolare operai e braccianti urbani, molto più esposti rispetto alle classi medie e agiate. L’ubriachezza rappresentava la faccia più visibile di questo fenomeno: non ancora riconosciuto come malattia, veniva percepito come un vizio pubblico, segnalato soprattutto nelle osterie frequentate dalle fasce sociali più fragili. In realtà, dietro gli eccessi appariscenti si celava spesso una dipendenza latente, che minava la salute e l’equilibrio familiare.

La signora, quindi “sebbene con tutto il malincuore”, chiese alla Polizia pontificia “un pronto provvedimento”. “Quel disgraziato – si legge nel verbale – beve, e spesso vinto dal vino tiene continuamente in angustie la povera madre e non rifugge purtroppo dal minacciarla, ed anche dall’inveire contro la medesima”. Si trattava di una “necessità estrema” perché non erano fino ad allora bastate “le cure indefesse degli altri suoi figli” rendendo ogni azione “impotente a fare di più” se non qualche tirata d’orecchie, qualche monito, poco altro. La madre aveva una soluzione a tale sofferenza, quel “figlio vagabondo” si sarebbe redento andando in caserma. Supplicava infatti di ascrivere il figlio “alla milizia dello Stato” confidando “che la Disciplina militare valga a ridurlo al Bene, rendendolo utile a se stesso, alla Famiglia e alla Società”. Non si trattava soltanto, dunque, di tener fede al quarto comandamento, ma di indicare un tentativo di guarigione da una dipendenza. 

La Polizia pertanto convocò prontamente il figlio e gli ingiunse “di rispettare in qualunque modo la propria madre e non minacciarla nè con fatti nè con parole”. Se ciò si fosse ripetuto, se fossero giunti altri reclami, Pietro sarebbe stato sottoposto a fermo di Polizia. Lo scoparino, davanti a tale strigliata, non poté far altro che rispondere “di aver bene inteso”. 

Commenti