8 settembre: Forlì allo sbando

La radio annuncia l’armistizio, la città romagnola si riversa in strada tra campane a festa. Poi ordini confusi, panico e occupazione tedesca


“Forlì conta oramai 80 mila abitanti e vi si odono innumerevoli dialetti; è la città più cosmopolita della regione e quella che annovera il maggior numero di impiegati forestieri negli enti locali. Ciò non si riscontra in Ravenna e Faenza, specie per quanto si riferisce ai municipi. Il numero accresciuto è anche in ragione dei rimpatriati e sfollati, bene accolti e assistiti gli ultimi secondo la tradizione: l’ospitalità forlivese, lo spirito di altruismo in antico giunse al punto che nel Trecento i cittadini invitarono ad abitare Forlì i fuggiaschi colpiti dalla peste”. Questo è il ritratto che Antonio Mambelli fa di Forlì nel suo “Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945”, e l’avvenimento che si stava preparando all’indomani era il fatidico 8 settembre 1943. 

Infatti, si legge: “Alle 18.30 circa, diffusa la notizia dell'armistizio fra l’Italia e gli alleati, data da radio Londra, la popolazione si rovesciava per le strade in ansia a interrogare o per avviarsi di corsa al centro, incredula di tanto evento”. Come ci si può ben immaginare, “in piazza Saffi dalla marea umana agitata saliva un tumultuare di voci, chi affermava esser vero della sospirata pace, chi attribuiva il tutto a una manovra degli anglo-americani giacché ancor ieri Napoli subiva una tremenda incursione, qualcuno, infine, esprimeva sdegno e dolore dell'epilogo tanto tragico ed inglorioso”. Già, un epilogo inglorioso “dopo i lunghi, innumerabili sacrifici compiuti, di una guerra voluta, tentata senza considerare le possibilità, la potenza dell’avversario nemico, i mezzi a nostra disposizione, lo stato d'animo del paese contrario alle avventure, l’antipatia per i tedeschi”. Le considerazioni del compilatore del Diario rallentano il ritmo della narrazione perché, in effetti, poco si sapeva e ci si affidava a voci, a impressioni, a suggestioni. La città “più cosmopolita della regione” era allo sbando. 

Nel diario di una ragazza forlivese di allora, si legge molto di aspettative ingenue e incertezze: “Oggi è passato un po’ più calmo, ieri sera eravamo tanto preoccupati e ora si spera vada a finire tutto bene. Bisogna vedere come la pensano i tedeschi e se Badoglio li ha avvisati prima, ma io credo di sì, i giornali non dicono niente, la radio tace, solo il comunicato dell’armistizio”. 
Mambelli, invece, descrive pure particolari che fanno ascoltare il momento ai posteri: “le campane di molte chiese suonando a distesa confermavano le voci corse ed in più si aggiungeva che gli alleati stavano lanciando inviti alla popolazione di cacciare i tedeschi; sul tardi, il proclama di Badoglio illuminava del vero”. Nel vortice di emozioni, in particolare dopo la “esaltazione degli animi”, il pensiero dei più era rivolto “ai nostri soldati in Francia, in Grecia, nei Balcani, ai lavoratori in Germania, all’avvenire del Paese, piegato, umiliato, detestato per colpe non proprie dall’universo”. Difficile, poi, capire gli umori, sogni e incubi della notte di quel giorno dove tutto apparve improvvisamente sossopra. 

Alle 17.30 del giorno successivo “una colonna di autocarri tedeschi transitava per la città diretta al Nord, senza commenti per parte dei molti che assistevano al passaggio nelle vie”. In particolare, “in piazza del Vescovado un colonnello dell’esercito italiano intimava i popolani raccolti a curiosare intorno a un gruppetto di germanici, di sciogliersi e traeva in arresto un giovane solo per aver borbottata una protesta”. Nei pressi dell’aeroporto erano posizionate mitragliatrici e Mambelli osserva che “gli ufficiali nostri hanno consumata la colazione insieme ai tedeschi” mentre gli avieri “sarebbero vigilati”.  
“Verso sera Forlì appariva animata, ma i negozi sono chiusi e la gente invitata a circolare”: sembrava un tramonto disteso, ma di lì a qualche ora sarebbe iniziata l’occupazione germanica. A metà mattina del 10 settembre, infatti, “quattro aviatori tedeschi imponevano la resa, ottenendola” prendendo possesso dell’aeroporto mentre gli avieri italiani corsero in città gridando “sono arrivati i tedeschi” seminando il panico. Così, nell’immediato, “Forlì era in preda allo scompiglio”. “Uomini, donne – scrisse Mambelli - fuggivano come pazzi, si trascinavano bestie, masserizie; ovunque un ingorgo di veicoli, un urlare indemoniato, un agitarsi frenetico, un dirigersi senza meta, al pari dei soldati che abbandonate le caserme per non cadere prigionieri, offrivano uno spettacolo miserando”. 

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