Il capriccio del Generale

Venti giorni per risolvere un problema di palchetti del Teatro Comunale. Tra chi fa la voce grossa e chi obbedisce, riuscirà il barone Schneider a ottenere ciò che vuole?


“Eccellenza Reverendissima”: la formula introduce una petizione via lettera tra un graduato e il Legato apostolico di Forlì datata 6 dicembre 1854.  
“Il palco nel teatro Comunale di questa Città – si legge nella missiva - rilasciato a me come Comandante militare è talmente stretto e piccolo, che non offre dello spazio bastevole per ricevere più che la visita di una persona sola”. Il mittente è il generale barone Schneider, comandante della guarnigione austriaca di Forlì nel 1854. Ciò che voleva divenne presto chiaro: “Questa circostanza m’induce di pregar Sua Eccellenza perché Ella si compiaccia di ordinare al Magistrato che per le rappresentazioni, che mai avran luogo nel venturo in detto teatro, mi venga ceduto un palco più conveniente al mio rango, nonché che corrispondesse meglio del summenzionato al decoro”. Il Generale forniva pure una proposta in merito: “Ritengo che a tal fine il palco appartenente ai Signori Impiegati di Magistrato, sito proprio accanto a quello del Governo si adattasse molto bene, giacché non essendo quasi mai occupato, potrebbe venir messo a mia disposizione senza alcuna difficoltà”. 
Sembrano queste – restando in tema teatrale – le parole di Mustafà nell’Italiana in Algeri: “Altra legge io non ho che il mio capriccio”. E qualche anno più tardi rispetto a tale petizione, cioè nel 1857, verrà pubblicata la Guida di Forlì di Calzini e Mazzatinti che dedicherà queste poche parole al compianto Comunale: “Il Teatro è annesso al palazzo, fu costrutto dal Comune nel secolo scorso su disegno di Cosimo Morelli e restaurato nel 1828; l’architetto Giacomo Santarelli nel 1831 lo rammodernò, togliendo due insenature laterali che impedivano a molti spettatori la vista del palco scenico”. 

Tornando a quel dicembre del 1854, da meno di sei mesi ricopriva l’incarico di gonfaloniere Pietro Guarini, eletto con 21 voti a favore e tre contrari, avendo avuto la meglio su Francesco Mangelli ed Ercole Gaddi, suoi parigrado. Non certo di primo pelo, Guarini, che per l’insediamento ebbe a dire: “Il Consiglio, facendo precedere nella terna del Gonfaloniere il mio povero nome a quello di sì nobili signori, chiarissimi per sapere, per virtù e per antecedenze, ha voluto, in quell’unico modo che gli era concesso, onorevolmente gratificarmi del lungo, e travagliato servigio da me reso al Paese per ben dodici anni continui”. Questo ruolo amministrativo, sotto il pontificato di Pio IX, comprendeva l’ufficio di capo del consiglio municipale facendolo assomigliare a una sorta di sindaco sottoposto al controllo del governo centrale. 
Ecco, Pietro Guarini, immediatamente rispose alla petizione di Schneider in modo assai stizzito: “Il Generale cade in due equivoci asserendo che il palco da lui ora occupato non sia conveniente al suo rango, e che meglio gli convenga quello posto alla destra del palco di Governo appartenente ai Signori Impiegati di Magistrato”. Infatti: “Perché quello assegnato precisamente a lui sia stato dalla magistratura accordato ai generali, e superiori militari stati qui stanziati”, in particolare poi non ometterà di dire che i predecessori di Schneider non avevano mai avanzato simili pretese. Anche aggiungendo: “In quanto poi al palco da lui deputato non è già degli impiegati del magistrato ma della magistratura, la quale come rappresentanza primaria civile della città non l’ha mai ceduto ad alcuno nè lo cederebbe mai, essendo pur conveniente e necessario che anche nel Teatro abbia un luogo di residenza, per ricevervi ed esercitare colla dignità dovuta la rappresentanza che sostiene”. Nonostante gli “errori incorsi”, Guarini restava possibilista. Promosse una ricerca tra i palchi “per osservare se ve ne fosse disponibile uno più comodo” ma “ha dovuto convincersi non esservene alcuno”. 

La questione parve scottante se è vero che il passaggio successivo fu la proposta di un giro tra titolari. Si sarebbe potuta sacrificare la Polizia, il cui palco “per capacità è più del doppio dell’altro” mentre la Polizia avrebbe potuto occupare quello del “Comandante di Piazza” che a sua volta sarebbe andato in quello lasciato dal Generale. 
Insomma, al 24 dicembre ancora a Schneider non era arrivata alcuna risposta e il Generale non nascose il suo disappunto: “Non essendomi pervenuto finora un qualche riscontro alla mia richiesta in data 6 andante, credo di poter pretendere che l’Inclita Delegazione si compiacque di rilasciarmi a tempo debito una risposta”.
Solerte, il Gonfaloniere, il giorno di Natale, comunicava al Generale che “la chiave del Palco n.13 in primo ordine”, già pronta come pronto all’uso era il palchetto, era in possesso della Magistratura che attendeva il graduato per consegnargliela. Resa totale, dunque, con sarcasmo: “la Magistratura non può dubitare che, e per la sua situazione e per la sua ampiezza, non possa corrispondere alle brame del signor Generale ed alla dignità e convenienza del suo rango”. Il giorno di Santo Stefano, il crucco andò a prendersi la chiave del suo nuovo palchetto. 

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