È l’8 novembre 1826 quando sulla scrivania di papa Leone XII giunse una lettera da Forlì. Nello scritto si scopre che “molti individui abitanti del Rione di San Pietro”, cioè il quartiere che ha come perno l’odierno corso Mazzini, vollero fare “ricorso al Santo Padre” contro Domenico Bertolazzi, “perché illegamente eletto” come medico condotto e soprattutto in quanto “fu sottoposto nell’agosto del 1825 a precetto politico morale, come inquisito per delitto di Stato”.
Occorre però fare un passo indietro. Il cardinale Legato Agostino Rivarola, il 31 agosto 1825 aveva colpito oltre cinquecento romagnoli accusati di essere affiliati alle società segrete. I nomi, molti dei quali forlivesi, sono riportati nella sentenza e in effetti, tra costoro, si legge: “Domenico Bartolazzi – chirurgo – di Forlì”. Inoltre si specifica che in sede processuale avrebbe contato pure “la pubblica voce, ed opinione”. E se è vero che sarebbe stata bastevole tale “pubblica voce”, questi mormorii potevano essere esiziali per il medico condotto.
Tornando alle voci sul medico, per conto suo, il pro legato, monsignor Benvenuti il 14 novembre 1826 si era già espresso in modo laconico ma ben chiaro: “non sussiste l’esposto secondo le risultanze degli atti”. Ormai però la procedura era stata avviata e occorreva sentire un parere – certamente vincolante – dalla Capitale.
Da Roma, il 20 novembre giunse quindi la risposta alla “rappresentanza che alcuni individui di questo Rione di San Pietro hanno inviato alla Nostra Santità contro l’operato del Consiglio Comunale” in particolare “nell’elezione fatta del signor dottore Domenico Bertolazzi” come “medico condotto del detto Rione”. Eppure, rilevano dalla Santa Sede, “la risoluzione consigliare presa nel giorno 20 maggio fu in tutta regola, e come tale approvata dalla Legazione nel giorno 24 dello stesso mese”.
Inoltre: “Non sussiste ciò che si espone nella rappresentanza che il Bertolazzi mancasse della produzione dei requisiti voluta dagli avvisi pubblicati dalla Magistratura che anzi tutti li esibì, e molto onorevoli, ed in particolare poi sulla propria condotta politica produsse il certificato di questo ufficio di Polizia”. Anche se “è vero che il Bertolazzi è compreso nella lettera pronunciata dall’Eminentissimo Rivarola contro i settari di questa provincia”, “lo è semplicemente come precettato di secondo ordine, cioè di quella classe che meno di tutte le altre è gravata”. E ciò, in buona sostanza, significa che “un tale precetto non ostava all’ammissione ed esercizio di pubblici impieghi” pertanto “non aveva il Consiglio titolo di escluderlo”.
Tra le limitazioni riservate ai precettati di secondo ordine (pare inoltre che il medico fosse soltanto indiziato, sempre per le già dette voci) vi era il divieto di allontanarsi dalla Provincia senza speciale permesso scritto della Legazione, di “non associarvi a persone sospette, inquisite, o precettate, o che abbiano conosciuti pregiudizj politici, o criminali” e “di non accedere ad unioni, o luoghi sospetti, di non offendere, insultare, o minacciare chicchesia”.
La risposta romana, poi, osava scendere un po’ più nel dettaglio: “Si conosce d’altronde esser egli abilissimo nella sua professione, e la magistratura molto lo loda della sua condotta, nel disimpegno delle affidatele incombenze”. Tuttavia pare che fossero giunte altre lamentele simili in precedenza, proprio nei mesi in cui il cardinale Rivarola era pro legato in Romagna, sempre con “rappresentanza firmata dagli stessi individui”.
Ora, escluse altre cause, ecco la vera ragione di tanta vociferazione: “È da farsi anche osservazione che popolato com’è il Rione di San Pietro, ed avente molte famiglie di possidenti e comodi cittadini, non vedesi nell’istanza firmata che persone di pochissimo o nessun conto, ad eccezione dei primi quattro e diverse firme si riscontrano dello stesso carattere” pertanto “può ragionevolmente temersi” nient’altro “un maneggio di chi rimase escluso nel concorso”. Quindi ora è tutto chiaro, la conclusione che arriva dalla Santa Sede è un non constat facile a immaginarsi: “Non sussiste il titolo del ricorso ed essendo assicurato della molta abilità del Bertolazzi, il quale mantiene una lodevole condotta, non credesi si possa dar luogo a prender alcuna misura”. Falso problema, dunque, ovvero il problema che resta è pur sempre l’invidia.
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