Presidia e Roderico

Un dramma d’amore ambientato nella Forlì di mille anni fa. Una storia ignorata tra le pagine di un cronista del Seicento


Inaspettato irrompe il melodramma, forma d’arte tradizionalmente cara ai forlivesi nonostante le decennali e colpevoli omissioni che hanno impedito la ricostruzione del Teatro Comunale. 
Nel libro terzo del “Supplemento istorico dell’antica Città di Forlì in cui si descrive la Provincia di Romagna”, lo storico Sigismondo Marchesi trascrive anno per anno vicende legate alla storia locale inquadrata – ovviamente – nel contesto dei maggiori meccanismi delle vicende internazionali dalle origini al suo Seicento. 
In questo caso siamo nell’anno 1037. Si legge di Corrado II di Franconia detto “il Salico”, Sacro Romano Imperatore e Re d’Italia, di Benedetto IX sul soglio pontificio e altri personaggi sicuramente propri della storia grande. Poi ci sono piccoli comprimari locali, forse fittizi come comparse che però danno gusto e sapore a pagine un po’ ostiche, e quasi quasi commuovono. E qui si apre uno squarcio inatteso che rompe la monotonia di fatti lontani negli affetti e nella memoria. 

In quegli anni la storia di Forlì è piuttosto confusa: i leoncini Ordelaffi avevano iniziato a graffiare ma ancora i forlivesi si stavano leccando le ferite del disastroso incendio che il 5 novembre 1000 atterrò la città di legno. Allora e nei secoli precedenti la via Emilia aveva funto da autostrada per barbari e popoli provenienti da chissà dove, pellegrini, genti dall’altrove che attraversavano gli Appennini per raggiungere Roma. Infatti, in quel 1037, faceva scalo a Forlì l’Imperatore Corrado II in direzione Roma e per passare le festività pasquali a Ravenna. 
In sua vece, lasciò tra le mura mercuriali “un Capitano Alamanno chiamato Falarico”. Così, nell’esercito imperiale acquartierato a Forlì c’era un giovane soldato chiamato Roderico. Costui, poco più di un ragazzino, “s’invaghì d’una bellissima fanciulla nominata Presidia, figlia di Giovanni Panaistroglio”. Si sa che lei viveva “vicino alla chiesa di Santa Maria Nuova”, luogo che pare da intendersi come quella più avanti nota come Santa Maria in Piazza, sull’attuale via delle Torri all’angolo con via Pisacane (scomparsa da tempo). Qui, sempre secondo il Marchesi, si poteva vedere un’Immagine miracolosa cui era stato offerto un vaso d’argento donato da pellegrini venuti da lontano, poi convertito in croce per opera dell’orafo Paolo Lombardo nell’anno 967. Anche questa è un’informazione tratta da chissà dove, fonti che solo Marchesi avrà potuto toccare con mano e leggere. 

Si capisce che il ragazzo era sanguigno, poco avvezzo alla ragionevolezza forse anche per l’impeto dell’età per così dire adolescenziale. Insomma, Roderico dev’essere stato davvero focoso se il padre di lei, essendo “cotanto l’ardore del giovinetto” volle “impedire un affetto così smoderato”. Pertanto la soluzione che reputò giusta fu “tener rinchiusa in casa la figliuola” in modo che stesse “occultata alla vista dell’amante per molti giorni”. 
Tuttavia – si sa – “il fuoco, quando è tenuto più chiuso, tanto più grandi prepara gl’incendi”: la ragazza “cadde in infermità pericolosissima” causata dalla malinconia. 
Il ragazzo lo venne a sapere e si sentì in colpa “che il tutto per sua cagione veniva”. Così, senza farsi notare, di soppiatto, Roderico se ne fuggì a Firenze “prudentemente” perché là si trovava in quei giorni l’Imperatore. 

Durante tale assenza, le cure della famiglia avevano fatto sì che Presidia ritrovasse la salute. La ragazza trovò la forza per andare a messa per la prima volta dopo tanto tempo, forza ancor più rinvigorita perché in chiesa avrebbe di certo incontrato lo sguardo di Roderico, ne era convinta. Ma non accadde: lui era a Firenze. 
Il colpo per lei fu durissimo: “sperava le risanasse con lo sguardo quella ferita che solo egli haveva fatto nel cuore”. Così non fu, come detto il suo bene era altrove, e lei “trasse un sì profondo sospiro che l’anima addolorata vi venne dietro, e morì”. 
Roderico, “havuto avviso di questo caso” e “sorpreso da soverchio sdegno”, si lasciò “offuscare da smoderata passione l’intelletto” e “velocemente se ne venne a Forlì”. 
Sigismondo Marchesi non è un librettista d’opera e taglia corto. Una volta giunto a Forlì, Roderico “vendicò la morte dell’amata con l’uccisione del di lei padre”. 
Oh, se Shakespeare si fosse accorto di questa vicenda, quanto indotto – con buona pace della coppia sfortunata – avrebbe reso a Forlì!

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