Una giovane donna della Forlì di duecento anni fa: tra liti, molestie, miserie varie tra cinque anni di carte processuali
L'Argentina, la Bella Italiana e la BuratellaEra il 18 aprile 1820 quando nell’aula del Tribunale di Forlì si presentò una giovane donna vestita da contadina dagli scuri capelli raccolti, bocca grande, viso lungo, mento tondo. Si trattava di Rosa Marzocchi di anni 25 nativa della parrocchia di San Giorgio e domiciliata in via Farabottolo. La forlivese, di professione filatrice, era nota come “la Mora” o “la Bella Italiana”, un nome risorgimentale che fin da subito desta attenzione. Chi stilò il verbale, vergò su carta le parole di lei: “Nel dopo pranzo del sabato 15 corrente, ero nell’osteria di un tal Piforio, situata in questo Borgo di Schiavonia”. In breve tempo “venni arrestata da due Carabinieri, i quali mi tradussero alle Carceri di Rocca e poi a quelle dei Romiti, ove attualmente sono, a motivo del fatto che ora le racconterò”.
La curiosità, a questo punto, costringe ad ascoltare la Bella Italiana prigioniera. Era “verso il mezzodì” quando la giovane – così dichiarò – si era recata all’osteria “per portare alla moglie (dell’oste) della stoppa che aveva dato da filare a certa Giuseppa Marabini che stava in mia casa per tenermi compagnia”. Indicando forse la nuca, dov’erano chiari i segni di una contusione, rivelò: “mi sentii all’improvviso un forte colpo di sotto, che ebbi a cadere quasi a terra, e rimasi ferita, facendo quantità di sangue”. La donna, poi, preciserà particolari trascurabili: “ritornai indietro” per entrare in casa e riporre la stoppa e farsi medicare da “alcune donne mie vicine”. Una volta curata tornò in osteria ma qui sarà arrestata. I punti della narrazione sottendono antefatti misteriosi, vero è che Rosa indicò nell’amica Giuseppa la mano del colpo. Ella, infatti, “mi veniva dietro” e “arrivata pel campetto di Schiavonia” la apostrofò a male parole e le lanciò un sasso raccolto dall’acciottolato della via. Già, ma perché? “Siccome facevo la carità di tenerla in casa senza alcun interesse”, disse lamentando qualche furtarello “mi decisi di mandarla fuori di casa”.
E allora perché in carcere c’è finita questa Rosa? È presto detto, con la risposta alla domanda “ha precedenti?”: “Molte volte sono stata carcerata e processata, e l’ultima volta stetti in Rocca dieci giorni per avere percosso due militari”. Si svela dunque un “precetto” che, almeno dall’anno prima, le impediva “di non trattare militari e di non partire dalla Comune senza un permesso”. La giovane confessò senza troppe remore di essere andata a Faenza otto giorni prima “in compagnia dell’istessa Giuseppa Marabini la quale doveva vedere una sua zia abitante nel Borgo”. La giornata a Faenza si svolse senza alcun permesso, manco a dirlo.
Fu dunque chiamata a dire la sua Giuseppa Marabini, detta “la Figlia di Buratella” di anni 35, filatrice, nubile. Pure a lei non andò benissimo: “Sabbato dopo pranzo quindici corrente essendo andata a ritrovare mia madre che abita in Rocca, venni arrestata da un Carabiniere e condotta lì nelle carceri, e poi ieri venni tradotta a quelle dei Romiti, senza saperne in conto alcuno il motivo”. Anch’ella aveva dei precedenti: “Un anno fa circa venni incarcerata perché mi imputarono di aver fatto cadere un ragazzetto che aveva una donna in braccio, e dopo otto giorni di prigionia venni come innocente, da quella volta in poi non ho avuto più a che fare con la giustizia”. La donna dirà poi di abitare “nella strada di Sant’Agostino” e di essere stata “qualche volta per una qualche notte ad abitare nella casa di Rosa Marzocchi”. Ecco, appunto: e la sassata? “Mai ho altercato, e siamo sempre state in perfetta armonia come lo sono anche al presente” e dichiara di non sapere nulla di quanto era successo alla sua amica, sa solo che “si trova attualmente carcerata, come lo sono io”.
Il giorno successivo venne chiamata a deporre come testimone Catterina Ricci del fu Paolo, detta l’Argentina, di anni 56, filatrice abitante in via Curte. Ecco le sue parole: “Nel dopo pranzo di sabbato 15 corrente, ero uscita fuori casa per andare a prendere del pane per la povera mia famiglia, quando fui giunta al campetto di Schiavonia e, avanti di me andavano le suddette Marzocchi e Marabini, la prima delle quali tenendo della stoppa nel grembiale, (la seconda) chinandosi per terra raccolse un sasso e vidi che all’istante glielo tirò colpendola nel capo dalla parte di dietro, cagionando una ferita per la quale faceva quantità di sangue”. Sul motivo di tanta violenza l’Argentina non ha dubbi: “Sono due donnacce cattive, e tutto il vicinato non fa che lamentarsi pel loro contegno”. Ora il quadro che si svela è quello di una Forlì miserabile ove la Bella Italiana, traviata locale, pare tanto vittima quanto provocatrice, dimostra buona parlantina, si rivela acuta tuttavia è pur sempre schiava della necessità e spesso alcolizzata. Le sue carte penali, presenti all’Archivio di Stato, rappresentano un contributo per chi volesse approfondire la condizione femminile del primo Ottocento forlivese. In questo spazio si vuole in sintesi riportare alla luce un personaggio sicuramente controverso e noto della Forlì di quegli anni, dove della Bella Italiana si parlava e straparlava, considerando la fatica e la sofferenza che si nascondeva tra le risposte a testa alta dell’imputata perenne. Tempo di uscire di galera, infatti, che in quello stesso 1820 al mattino venne arrestata sulle mura tra Porta Cotogni e la Rocca perché “commerciò con alcuni militari”, alla sera ancora venne sorpresa “data in braccio a dei militari” per “sfogare con essi sue brutte voglie”. La narrazione accentua la sua smania di mettersi “in prova allo sfogo libidinoso e brutale”: pertanto ai soldatini, descritti per lo più come circuiti e manipolati da lei, conveniva girarle alla larga perché anche su loro ci sarebbero state ricadute di ordine disciplinare se non penale.
Il suo nome riaffiora alla Vigilia di Natale del 1820, quando venne trovata nell’osteria di Nicola Pasini “a far lite con Pellegrino Silvestroni e Giuseppe Cicognani”. E anche qui a Rosa tocca aggiornare il curriculum simile quasi a una lunga cantilena: “Due anni circa fa venni carcerata per ordine della Polizia la quale mi disse che tenevo cattiva condotta, e dopo quattro mesi di continua prigionia venni rilasciata. Passarono due o tre mesi e venni carcerata assieme con una tale detta la Buratella perché avevamo avuto lite, e trascorsi ne furono sedici giorni venimmo poste in libertà. Sono stata altra volta carcerata ed anche condannata nel mese d’agosto a tre mesi di carcere per contravvenzione al precetto di Polizia. Sono stata carcerata altre volte che adesso non mi ricordo perché la Polizia stessa mi diceva che tenevo cattiva condotta con dei Militari che non era vero”. Per questa “cattiva condotta” doveva, così disse: “Ritirare a casa all’ora di notte, di non frequentare le bettole ed osterie, di non poter partire dalla mia abitazione se non alla levata del sole, e di non trattare militari, sotto pena in caso di contravvenzione di sei mesi oppure ad un anno di carcere”. Precetto che non sa rispettare fors’anche perché tutto sommato in prigione si sentiva più tutelata.
Il caso dell’osteria Pasini è pieno di dettagli che qui dovranno essere omessi: emerge però il quadro drammatico della brutta vita della Bella Italiana, ossia una meretrice ubriaca che tra i fumi del vino la si vedeva “a bere ora con dei militari ora con altri” e spesso “strapazzata”. Finché in quel giorno con un calcio ruppe “il di lei scaldino sull’orola del foco lì del camino”. Si mise a urlare dando la colpa a Pellegrino Silvestroni detto Finetto assestandogli “un pugno nel naso che gli fece venire per fino il sangue”. Rosa negherà tutto, ma ammetterà di “andare abitualmente all’osteria: alla mattina, a buon’ora, fino alla sera, all’Ave Maria, ora all’ora di notte, ed ora più tardi non avendo più abitazione stabile”. L’anziana titolare, Maddalena Pasini detta Barasa confermò tutto commiserando la donna che conduceva una vita tanto scandalosa e miserabile: spesso la si vedeva giacere per terra sotto i portici a dormire e smaltire la sbornia. Da ulteriori vicende penali di Rosa, definita “donna di mala vita” dai numerosi verbali a suo carico,si scopre di un Carabiniere quarantenne di Bazzano che – disse – la invitò “a far colezione al Ronco aggiungendo che colà voleva meco trastullarsi”. Non ci andò e lui l’arrestò dopo averla condotta “alle mura di Porta San Pietro per cattivi fini” dove gridando eviterà il peggio. Egli negherà tutto. Un altro episodio simile raccontato dalla stessa Rosa: “Mentre la sera ero per indirizzarmi alla casa (…) venni fermata da un Brigadiere di corporatura pingue, che nelle spalline verdi teneva al braccio un cordoncino d’argento, e da questo venni pregata e ripregata ad andar con esso per bevere un bicchier di vino. Andai con lui nell’osteria Masotti detto Pichiello. Fece per fare un fiasco di vino, e mi fece bevere più volte, tanto che rimasi imbalordita. Poi mi ritrovai nelle carceri della Rocca. Ho ritenuto che quel Brigadiere maliziosamente cercasse di ubriacarmi per farmi arrestare”. Amante della trasgressione o ingenua, manipolatrice o manipolata? Sicuramente povera e pare evidente che abbia pagato più di quanto le fosse spettato.
Il 15 novembre 1825 pioveva forte, Rosa cercò riparo presso il Corpo di Guardia di Porta di Schiavonia dove i soldati si stavano scaldando e asciugando i panni. Le guardie Ravaglia e Brugnoli non videro nulla di malizioso nell’ospitarla ma quando un superiore la scorse rannicchiata - come si ascolterebbe ne Le Nozze di Figaro: “sciolto il collo, nudo il petto” - fu il finimondo. Per la Direzione Provinciale di Polizia della Legazione di Forlì la Bella Italiana è “senza speranza di emenda”, la sua “scorretta condotta” è “promiscua e intollerabile”. Non solo: “fu ne’ suoi freschi anni la delizia de’ militari, com’è pubblico e notorio, ma lo stravizio nella presente sua età di circa anni 30 l’ha resa schifosa, ne altro l’è rimasto che l’imponente vivacità dell’astuta libertina, il quale talvolta solleticando abbastanza di qualche famelico soldato non è da farsi caso se un brigadiere o rimembrando il passato o stregato da geniale chiribizzo, la condusse in una bettola, tantoppiù che il fumo di candela non lascia ben rilevare tutta la deformità. Lì bevette addunque allegramente ma terminata la gozzoviglia e usciti dalla bettola il Brigadiere la lasciò probabilmente perché vide che era briaca spolpata. Difatti fu poco dopo avvistata sotto il portico della Finanza sdraiata al suolo”.

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