A cent’anni dalla morte di Tito Pasqui, un ricordo e qualche tema da approfondire
Alla sua morte, avvenuta nella sua casa di corso Garibaldi 21 il 7 luglio 1925 alle ore 22, la città si fermò. In occasione dei funerali, iniziati alle 18 del 9 luglio, si snodò un corteo dalla casa del defunto fino alla Barriera Mazzini. Davanti c'era un plotone di Vigili del fuoco in alta uniforme, poi gli alunni degli asili infantili, quindi il clero e la salma. Seguivano i parenti, gli amici intimi, i gonfaloni della Provincia di Forlì e del Comune, le bandiere delle associazioni patriottiche e dei reduci. Raggiunta la Barriera Mazzini, il sindaco Corrado Panciatichi lesse l'orazione funebre.
Chi scrive, ha finora quasi per pudore omesso che il personaggio di cui si parla è Tito Pasqui.
Proprio per ricostruirne la vicenda assai lunga e multiforme, si possono leggere estratti di necrologi di quel momento. L'Istituto del Nastro Azzurro ricordava: “L'ardente volontario nelle guerre d'Indipendenza d'Italia, l'apostolo dell'ultima riscossa nazionale, trova, nel giorno della sua incomparabile scomparsa, il sincero rimpianto di tutti gli antichi e recenti fratelli d'armi e di spirito”. L'Istituto intendeva dare “omaggio alle Sue ardenti Virtù militari, d'intelligenza e di cuore, che in ogni atto della Sua vita operosa, in ogni delicata missione sociale e carica pubblica, rifulsero sempre di splendida luce fecondatrice di opere sagge sempre ispirate alla grandezza del popolo e della Nazione”.
La Società veterani e reduci delle patrie battaglie, sezione garibaldini scriveva, tra altre cose, che il defunto “Aveva fatto la Campagna di Guerra del 1866 e del 1867 sotto la guida di Giuseppe Garibaldi e fu sempre di immutati sentimenti italianissimi”. L'Associazione nazionale madri, vedove e famiglie dei caduti e dispersi in guerra, mutilati ed invalidi, volontari, tubercolotici, combattenti evidenzia la “eminente figura di soldato e di concittadino”. In particolare, di Pasqui si ricorda “che primeggiò sui campi della redenzione Patria nel periodo della libertà e dell'indipendenza e che tenne in Roma i più alti Uffici all'Agricoltura per un grande periodo di anni. Gentiluomo e galantuomo si prodigò a dispensare aiuti ed a lenire dolori a chiunque battesse la sua porta”. La Giunta municipale di Forlì lo omaggia come “fervente garibaldino” che “partecipò, con l'impeto generoso dell'anima romagnola, alle Campagne del 1866-67 e a Mentana, spartano di Leonida, si batté valorosamente, e della Patria fu sempre l'ardente, fedele e devoto milite, e per la Patria sempre degnamente operò”. Inoltre, lo si indica quale “pioniere instancabile di ogni civile progresso” che “lascia dietro di sé il prezioso retaggio di una vita, tutta illuminata da un magnifico fervore di pensiero e di opere, tutta consacrata a un sommo ideale di bene”. Inoltre, conclude il ricordo della Giunta comunale: “Alla sua Romagna, che fu il Suo costante Amore, diede con larga dovizia, il Suo ingegno e la Sua sapienza e a Lui si debbono il risveglio agricolo, l'incremento della produzione terriera, la diffusione della vera tecnica agraria”.
Tito Pasqui era nato in una famiglia borghese, radicata nella tradizione agricola ma aperta alle innovazioni del proprio tempo. Il padre Gaetano, agronomo autodidatta e uomo intraprendente, aveva costruito la propria fortuna grazie a una piantagione di luppolo, una fabbrica di birra e un’attività di commercio di strumenti agricoli moderni. Tito, affascinato fin da giovane dall’intreccio tra scienza, tecnica e utilità pubblica, si laureò in Ingegneria civile e Agronomia nel 1866, dopo aver preso parte alle campagne garibaldine in Trentino e a Mentana. Il suo spirito patriottico si univa a una solida formazione tecnica, che approfondì ulteriormente nel 1869, quando si trasferì a Torino per frequentare la Scuola di perfezionamento per Ingegneri, uno dei più avanzati centri di formazione tecnica del nuovo Regno d’Italia con l’obiettivo era quello di formare professionisti capaci di affrontare le sfide infrastrutturali, idrauliche e costruttive poste da un Paese in rapida modernizzazione. La sua tensione ottimistica ed entusiasta per le “cose nuove” potrebbe affibbiargli l’etichetta di “uomo del secolo dopo”. Tralasciando però altre vicende biografiche, si può aggiungere un tema che a Forlì pare sempre attuale.
Circa un mese dopo il funerale – era l’11 agosto 1925 – Benedetto Pergoli, direttore della Biblioteca comunale, ricevette da Ottavia, sorella del defunto, una ricca e importante donazione cartacea. Egli, infatti, volle lasciare alla sua città centinaia di documenti (libri, monografie, opuscoli, miscellanee, ritagli di giornali, carteggi, ricordi di viaggio…) ora reperibili presso i Fondi Antichi della Biblioteca comunale Saffi. Il materiale, catalogato e raccolto in decenni di premurosa e ingegnosa attività, è per lo più di carattere agrario. Ma non solo: nel Fondo Pasqui sono compresi un po’ tutti gli interessi del forlivese, dalla storia della sua città a progetti per il suo sviluppo, da interessanti planimetrie e ricordi delle Esposizioni universali a lettere, taccuini, riviste. Su questo materiale il Comune allestì una mostra più di dieci anni fa. Nonostante ciò si tratta di un patrimonio ancora nascosto; documenti rari che il donatore volle condividere coi suoi concittadini del presente e del futuro ma che, per ora, rimangono noti solo agli addetti ai lavori.
“Fra i materiali giunti in Biblioteca dalla raccolta privata di Pasqui – scrive Antonella Imolesi Pozzi - è ben evidente la sua attenzione per ogni elemento del progresso tecnico e in particolare per gli interventi sul territorio che, all’alba del nuovo secolo, si proponevano di migliorare le condizioni igieniche e le condizioni di vita e di lavoro di un paese in forte trasformazione dal punto di vista economico e sociale, che tentava di adeguarsi faticosamente al resto d’Europa e di uscire da una situazione di arretratezza e di isolamento”.
Diede altro di sé alla Città: al Museo del Risorgimento lasciò la camicia rossa che aveva indossato a Mentana, il berretto dell'uniforme, alcune preziose decorazioni, nonché oggetti come le posate che si portava in battaglia. L’alluvione del maggio del 2023 ha probabilmente compromesso se non disperso questa parte di materiale.
Il tema, appunto, è questo: Forlì è sempre stata prodiga di collezionisti, raccoglitori e generosi donatori di piccoli e grandi patrimoni domestici d’interesse ben oltre quello familiare. Sono stati e sono adeguatamente valorizzati? Per una sorta di ancestrale accidia culturale, nel tempo sono volate altrove raccolte interessanti per mancanza di spazio, occasioni, interesse o gratitudine. Per il momento, dunque, si cerchi di mettere in luce ciò che c’è.
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