La voce del regime

Manlio Morgagni: dal successo alla tragedia, la storia del forlivese che divenne il megafono dell’Italia fascista


Il legame tra la sua famiglia e quella di Mussolini durava da tempo: Giulitta Monti, madre di Manlio e Tullo Morgagni, era stata insegnante di Rosa Maltoni, madre del Duce. A Forlì, la memoria di questa donna è ancora viva: il padiglione della vecchia maternità dell’ex ospedale Morgagni è dedicato a lei di cui si legge il nome. L'edificio fu consegnato ufficialmente all'ospedale nel 1940, nonostante i lavori siano poi stati completati solo nel 1949, con ulteriori ampliamenti voluti dalla vedova di Manlio Morgagni.

Ed è proprio di questo personaggio – unico gerarca che si tolse la vita all’indomani del 25 luglio 1943 – che si tenta di riassumere la vita. Una vita innestata in un periodo di cui è ancora difficile parlare con equilibrio, innestata così bene in esso che il protagonista pare dissolversi, diventando egli stesso un mezzo, una voce, appunto, un megafono. 
Manlio Morgagni era nato a Forlì il 3 giugno 1879. In famiglia, (borghese, benestante, di simpatie repubblicane) c’era già un giornalista: Tullo, il fratello maggiore, noto per essere stato l’ideatore del Giro d’Italia e di cui il Foro di Livio s’è già occupato. Il padre Andrea era un agente d'assicurazioni di idee mazziniane, e la madre – come detto – maestra elementare. 

Dopo aver conseguito il diploma commerciale, Manlio si trasferì a Milano alla ricerca di fortuna. Dopo un primo incarico come ispettore delle Messaggerie Italiane nel 1912 e il matrimonio nel 1918 (con Luigia Pozzoli detta Bice), Morgagni iniziò la sua attività giornalistica ne "Il Popolo d’Italia", quotidiano fondato da Benito Mussolini nel 1914. 
Fu tra i primi sostenitori del giornale e del suo fondatore, che appoggiò apertamente già all’epoca della campagna interventista per la Prima guerra mondiale.
Amico personale di Mussolini, negli anni Venti e Trenta, Morgagni accumulò incarichi prestigiosi: consigliere comunale e vicepodestà a Milano, senatore del Regno e tanto altro.

Il suo nome, tuttavia, è per lo più legato all’incarico di presidente e direttore generale dell’Agenzia Stefani dal 1925. Sotto la sua presidenza, l’Agenzia divenne organo ufficiale del governo fascista, incrementando il numero di corrispondenti e di sedi in Italia e all’estero. Convinto fin nelle ossa, fu così fedele a Mussolini che il giorno dopo il 25 luglio 1943, incapace di sopportare il crollo del regime, si tolse la vita nella sua casa romana. 
Fu proprio per mezzo dell’Agenzia Stefani, infatti, che venne a sapere, prima di altri, del voto del Gran Consiglio e dell’arresto di Mussolini. Ne aspettò la conferma nella sua villa romana, scrisse una lettera al Duce e si sparò un colpo di pistola alla testa, non sapendo darsi pace per la sorte del regime e preoccupato per la salute del Capo del Governo. Nelle sue ultime volontà destinò la sua notevole eredità e la sua villa romana ai dipendenti e alle maestranze dell’Agenzia. Il suo epitaffio fu scritto da Mussolini in persona, addolorato dalla perdita di colui che considerava un caro amico. Venne sepolto a Milano, con il resto della famiglia. 

Per quanto riguarda il padiglione ora sede di aule universitarie, occorre ricordare un dettaglio artistico. 
A seguito della donazione fatta da Manlio Morgagni, grazie alla quale fu possibile costruire e arredare il nuovo edificio, l'amministrazione dell'istituto ospedaliero volle commissionare un’opera d'arte allo scultore Giuseppe Casalini da porre all'ingresso del reparto. L'opera in marmo – ora conservata nel nuovo ospedale - ritrae Giulitta Monti, madre del senatore Manlio Morgagni, seduta con il piccolo figlio nudo sulle gambe.


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