Un santo e quaranta ladroni

 Pellegrino Laziosi: un episodio leggendario e il suo impegno per i forlivesi del suo tempo

Una ricostruzione "artificiale" dell'episodio

Secondo una leggenda popolare, San Pellegrino Laziosi affrontò un gruppo di quaranta ladroni che minacciavano di saccheggiare Forlì. La storia racconta che i malviventi, armati e pronti a compiere il loro atto di violenza, si trovarono davanti San Pellegrino intento nella preghiera. Colpiti dalla serenità dell’uomo, dal suo sguardo penetrante e dalla sua aura di santità, rimasero paralizzati. Alcuni cercarono di avvicinarsi, ma pare che una forza invisibile li abbia trattenuti, come se qualcosa li stesse bloccando da dentro. San Pellegrino, senza mostrare paura, li esortò al pentimento, usando parole così semplici e potenti da smuovere i loro cuori. Si racconta che, uno dopo l’altro, i ladroni gettarono le armi, si inginocchiarono davanti a lui e chiesero perdono. 

Sulla lunga vita del Santo forlivese la cui memoria ricorre il 1° maggio sono fiorite diverse vicende prodigiose come questa, si sappia però che pur essendo poco più che storie, possono essere ben radicate nella storia. Infatti, perchè mai è sempre molto partecipato il culto di questo concittadino morto ben 680 anni fa? Leggendo le parole ormai vetuste di padre Armadori (nell'agiografia "San Pellegrino Laziosi dei Servi di Maria" del 1930) egli, fin da ragazzo “concepì il disegno di risarcire la divinità offesa col guadagnarle anime traviate, e, da vero riparatore, non mise tempo in mezzo per attuarlo”. In particolare “innalzò al cielo ardenti preghiere, suppliche angosciose, per la conversione di quei poveretti che s’ostinavano a percorrere la strada della perdizione, de’ quali principalmente prendeva di mira e parenti e concittadini”. 

Con un inizio del Trecento piuttosto turbolento per la Romagna, il giovane Laziosi entrava in gioco attestandosi come idolo della città: schivo e umile – certo - paziente, caratterizzato da una “santa lentezza” (sono sempre parole di padre Armadori). La sua “focosa eloquenza” integrata con la “squisita carità” del Santo, avrebbe contribuito alla pace cittadina tra guelfi e ghibellini del 28 agosto 1308. 

Si ha pure un Pellegrino impegnato per risolvere le frequenti carestie con un metodo tutto suo, educativo: “I forlivesi, rammentandosi che fra Pellegrino nel 1308 aveva salvato la città dalla guerra civile, e, in altre occasioni, opportunamente evitato il ricorso alle stragi, a lui si rivolsero affinché ora la salvasse dalla fame”. Però, “diminuendo le comuni risorse, i ricchi non largheggiavano più, e i frati, terminate da lungo le provvigioni, stentavano come gli altri a tirare innanzi la vita”. San Pellegrino, però, “non si scoraggiò per questo”: “Se l’erario del Comune era esausto, non erano stati mangiati i patrimoni dei ricchi. Egli si reca dal tugurio del povero alla magione del dovizioso, domandando al primo la lista del bisognevole ed al secondo il modo di provvederglielo: così, mentre sollevava le miserie più vergognose animava gli uni alla pazienza, spillando dalle meglio fornite borse l’oro necessario, esercitava gli altri nella carità”. 

Oltre al dono della carità aveva “esperienza giornalmente acquistata, durante un tirocinio di lunghi anni, nei tuguri e negli ospedali” luoghi in cui “meglio degli altri, aveva imparato quali sono le parole che, toccando le piaghe del cuore umano, lo risanano istantaneamente e, più che gli altri, sapeva servirsene per istrappare al pericolo della disperazione gl’infermi incurabili, ridare loro la calma e la rassegnazione, e renderli perfino contenti delle loro sofferenze”. 

Insomma, dalle fonti e dalla fama si desume l’impegno civile di questo sant’uomo: sapeva leggere la città avendo fatto un tempo parte di una fazione potente (i ghibellini), conosceva le istanze di ogni ceto attestandosi come un “santo sociale” prima di molti altri. Per quel che si sa non lasciò nulla di scritto, lasciando che i fatti parlassero. Fu pienamente consapevole della necessità della guarigione spirituale e della contingenza di quella materiale, durante le pestilenze era in prima linea nella cura come “caritatevole infermiere”, nel soccorso, nel conforto di malati e miserabili. “Ogni cittadino – scrisse con entusiasmo Armadori - ritenne che il Laziosi da sé solo avea in quel frangente salvato la patria, e che in seguito egli solo sarebbe bastevole a salvarla”. 


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