San Guglielmo: la chiesa scomparsa e un’antica tradizione, anch’essa scomparsa, propria della Forlì antica
Ricostruzione artificiale della chiesa di San Guglielmo
Il 28 maggio è tempo di “tore l’oca”. Il cronista Novacula, infatti, ricorda che nel giorno di San Guglielmo si teneva a Forlì una sorta di palio che, con poca spesa, doveva garantire molta resa. Si tratta di una “antiga usanza” (il mondo contemporaneo rigetterebbe tale spettacolo) che vedeva impegnati semplici forlivesi, povera gente – non già cavalieri sfarzosi col vestito della festa – correre lungo l’attuale corso della Repubblica, la “strata” tra la rocchetta di Cotogni e il trebbo di Mozapé. Chi vinceva? Chi arrivava per primo ad afferrare per il collo un’oca legata al traguardo. Competizioni simili sono attestate in altre città, come Modena o Ferrara, spesso legate a feste primaverili o nuziali.
Ciò si evince a corollario di un’informazione registrata al 28 maggio 1499, giorno dedicato al patrono dei soldati convertiti (ovvero di coloro che abbandonano la vita militare per dedicarsi a Dio). Da calendario, ricorre la festa di San Guglielmo d’Aquitania, pertanto la chiesa venne dedicata al monaco occitano. Il cronista Novacula ferma l’istante, asserendo che “la prefata ghiesia” venne intitolata a “Sam Guiellmo”. Chiesa che già esisteva da tempo, almeno dal 1170, quando è citata in un atto nel quale il vescovo Alessandro la donava all’abate Enrico di San Mercuriale.
Si trovava nei pressi dell'attuale palazzo comunale, attigua alla piazzetta San Crispino. Fino al 1466 è citata come chiesa parrocchiale e si possono scorgere segni di delimitazione della sua contrada sulla pavimentazione stesa lungo corso Garibaldi a ridosso di questo secolo. Nel Trecento è la chiesa dei traffici fiorenti del ponte del Pane, cioè il Rialto piazza, zona vivissima della Forlì produttiva e commerciale. Giuliano Missirini la definì “spina nel fianco del Palazzo di Forlì” nell’ultimo suo lavoro pubblicato postumo. In effetti, nel tempo, ha saputo mantenere la posizione mentre l’attuale Municipio andava a via a via estendendosi, costringendo il Palazzo a una piega brusca, tanto da generare un largo ora chiamato piazzetta San Crispino, nome che per un certo tempo prese lo stesso luogo di culto.
Chiesa, sagrato e canonica si trovarono dunque ben presto ad avere un vicino ingombrante in quel Palazzo che sembrava volerla finirla per soffocamento. Cosa che più o meno avvenne nel 1459 quando San Guglielmo, negli anni in cui “viveva Zeche et Pino Hordelaffo” era in gran parte “guasta”. Gli Ordelaffi, infatti, volendo ampliare il Palazzo, s’imbatterono nell’impiccio della proprietà parrocchiale e, non potendo acquistarla, avviarono lavori che compromisero il vecchio luogo di culto. Da lì la decadenza: nel 1466 perse il titolo di parrocchia a vantaggio del Duomo, i suoi beni confluirono nel bilancio per la costruzione della Cattedrale. Più avanti fu curata da don Bartolomeo Orcioli, prete che sarà incolpato di aver partecipato all’assassinio di Giacomo Feo e fatto imprigionare e decapitare da Caterina Sforza. Il suo successore, don Marco, venne incaricato dalla Tigre di Forlì di “alzare tramedoe le mure et concere la capella dove era l’altare grande”. I lavori vennero interrotti dalla di lui morte, nel 1497, e ripresi da don Paolo dall’Aste che andò a baciare la pantofola di papa Alessandro VI per “esere innovate de dita ghiesia”. Tornato da Roma, don Paolo volle che “quelle horatorio non stesse in quelle mode” pertanto “determinò che la tornase come l’usate” per “non cadere nel pecate dela ingratetudine”. Come prima cosa “la feze fornire di coprire”, poi la fece “inbiancare e refare tute li soi usse” e “fece metre una campanella”.
La chiesa, in quel 1499, venne dunque ricostruita dopo due anni di lavoro. Niente di particolarmente strepitoso accadde in questo piccolo luogo di culto il cui ingresso par che fosse dove un tempo si accedeva all’anagrafe, nella rientranza della piazzetta, dietro l’edicola, a pochi passi da via Guerrazzi. San Guglielmo, per i forlivesi di allora, era ormai solo il luogo che promuoveva una tradizione rinnovata: don Paolo, infatti, “fecie dire le molte messe et tore l’oca, come in tale zorno era per antiga usanza”.
Con l'invasione napoleonica la chiesa fu sconsacrata ed i locali venduti a un tal Giuseppe Aguccioni che ne fece la propria abitazione e la sede della sua bottega di calzolaio (San Crispino, in effetti, è patrono dei calzolai). Ciò che restava dell’antica San Guglielmo passò alla famiglia Rinaldi ed infine fu adibito ad abitazione del custode del palazzo comunale, per un certo tempo l’edificio fu addirittura l’Albergo del Commercio. Ora la facciata uniforme, monotona del Palazzo non consente più distinguere alcuna vestigia di San Guglielmo, la chiesa della corsa delle oche.
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