Un omicidio e un regolamento di conti: turbolenze in quel di Forlì alle soglie del Seicento
Una ricostruzione artificiale dell'accadutoSigismondo Marchesi, nelle sue cronache, consegna ai posteri il fatto che “nelle risse e quistioni private” nella Forlì di quel tempo “era costume” usare “spada, & arme in asta”. Non è chiara la data, pare in primavera o in estate, però è sicuro che si tratti del 1595. “Solo quest’anno – rivela Marchesi – venne introdotto l’uso di vendicarsi con armi da fuoco da un venetiano”. Questo “venetiano” rispondeva al nome di Sebastiano Comenzoli, il quale “con alcuni sicarij forastieri affrontò Francesco Gipponi forlivese” ammazzandolo “con archibugiate”. L'archibugio, antica arma da fuoco portatile ad avancarica, farà così udire il boato di uno sparo nell'attuale piazza Saffi.
Come se non bastasse, il “popolo” reagì a questo sparo primitivo: “molti cittadini” risposero alla “campana à martello” e si radunarono in piazza armati. Essi erano “risoluti d’entrare à viva forza nella casa de’ Comenzoli” la quale si trovava verosimilmente dove ora c’è il palazzo delle Poste o quello degli Uffici Statali “ch’era sul cantone verso levante, che và al borgo di San Pietro”. Lo scopo di questo raduno era “trucidare li delinquenti”. Tra i sicari, uno “salì sul tetto per salvare la vita” e “s’appiatò dietro una guardia di camino”, tuttavia “non potendo reggersi in piedi, sdrucciolò dal tetto e morì”. Dall’altra parte della piazza, però, c’era “il capitano Cesare Scotti”, un perugino “con una compagnia di soldati” che non volle intervenire, cioè “non solo non fece motto” ma “temendo di qualche furore popolare si ritirò fuori della Città”. Forlì, quindi, era precipitata nel caos, con un clima di terrore amplificato dalle armi da fuoco ancora poco conosciute da queste parti nell’uso comune.
L’artefice di tutto ciò, il Comenzoli, “cadde nelle mani della Giustizia” in quanto catturato dopo che era stato “sforzato l’uscio” della sua casa. Ma anche qui, le falle nella sicurezza cittadina abbracciarono la corruttela e, sebbene s’aspettasse di finire “sopra un patibolo”, “à forza di danaro” fu liberato “con iscandalo” qualche mese di detenzione poi. Tale scandalo irritò fin nel midollo Camillo Gipponi, fratello dell’ucciso, che “mal digerendo di vedersi caminare in faccia il nemico rimesso senza pace” pensò alla vendetta: “nella chiesa di Sant’Agostino, mentre si celebrava la santa messa e il sacerdote leggeva il Passio”, ferì “sacrilegiamente” l’assassino “appoggiatali nella schena una pistola”. Così il Comenzoli morì “in pochi giorni” e Gipponi, “senza che quasi alcuno se n’accorgesse” uscì da Sant’Agostino, sull’attuale piazza Dante Alighieri, varcò “le mura di San Giovanni” (il tratto parallelo all’attuale via Andrelini) e trovò ricetto “su lo stato del Gran Duca”, cioè dalle parti di Terra del Sole.
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