Nel 1944, a Forlì si registrò un piccolo episodio di pace in tempi di guerra civile e mondiale
Era il 9 aprile 1944, una domenica di Pasqua in un mondo sconvolto dalla guerra. Forlì, come molte altre città italiane, viveva immersa nel conflitto anche civile, ma pur tra le rovine e i dolori della guerra si trovavano piccoli frammenti di umanità e di speranza, episodi che andavano oltre la logica dei fronti contrapposti. La vicenda che segue è tratta dal “Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945” di Antonio Mambelli.
Si legge che in quella mattina di primavera, un buon numero di soldati del Reich ricoverati presso l’ospedale militare situato in viale Salinatore, si prepararono per assistere alla messa pasquale. Tra loro vi era un caso singolare che attirava l’attenzione degli altri degenti e del personale ospedaliero: un soldato tedesco, reduce da uno scontro aereo avvenuto nei cieli sopra Cattolica, non si sarebbe recato in chiesa da solo. Ad accompagnarlo c’era infatti un altro ferito, un uomo in uniforme americana. Era un pilota come lui. Un nemico. Tuttavia, colpo di scena: “Ricoverati ivi lo stesso giorno”, cioè nell’ospedale militare, erano “divenuti amici”, ebbe a scrivere Mambelli.
Nel frattempo, nella Casa del Soldato Tedesco – situata presso il palazzo Guarini di Castel Falcino, in via Maroncelli (quello oggi noto come palazzo Hercolani) – si svolgeva un pranzo pasquale, organizzato per i soldati in convalescenza o di passaggio. L’atmosfera era diversa da quella austera e sacra della chiesa. I tedeschi, pur lontani da casa, cercavano di ricreare un clima di normalità, almeno per un giorno. Seduti a tavola, i soldati consumavano un pasto che, nelle condizioni della guerra, poteva considerarsi un lusso.
Il menù era sorprendentemente ricco: una minestra calda in brodo seguita da vitello arrostito, un piatto di carne in umido, una crostata fragrante, frutta fresca e vino. Tutto questo per il modico prezzo di 20 lire, vale a dire circa 2 euro al tasso attuale: “mors mea vita tua” commenterà in modo sarcastico Antonio Mambelli a margine di quanto scritto nel suo prezioso Diario.
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