La neve in primavera

Nel Settecento le imbiancate tardive non erano infrequenti a Forlì e dintorni, ecco qualche caso


Passato anche quest’anno l’inverno senza neve, almeno a Forlì, occorre rispolverare qualche cronaca antica per godere di qualche fiocco fuori stagione. Senza pretese di completezza, si può andare a cercare una voce di trecento anni fa. Pare, infatti, che gli inverni del Settecento da queste parti fossero particolarmente duri con nevicate abbondanti. Ma non solo. Anche la primavera avrebbe dato il suo insolito contributo alla meteora candida. Clamorosa fu, giusto per dire, la nevicata che scandì l’inizio di maggio del 1740, un vero cataclisma per le colture agricole. Ancora precipitazioni nevose, concentrate per lo più nell’appennino forlivese, nella seconda metà del maggio del 1755, dopo un inverno pressoché secco. 

Più centrati sulla città di Forlì si scopre che il 26 marzo 1720 “nevicò per dieci hore continue con tanto impeto che se fosse stato nel cuore del verno sarebbe cresciuta la neve à mezza gamba. Si fece però alta in maniera che vi vollero tre interi giorni perché si dileguasse”. Almeno così è riportato in una cronaca manoscritta conservata all’Archivio di Stato nel Fondo Dall’Aste Brandolini. Per quanto riguarda la primavera dello stesso anno, la medesima fonte riporta che il 12 aprile, sempre nel capoluogo romagnolo, “nevicò per qualche tempo al piano ed assai al monte, che cagionò ne giorni avvenire alla campagna qualche poco di ghiaccio nell’acque, e  freddo grande alla Città”. Ancora episodi bianchi si registreranno il 19 e il 20 del mese, quando “nevicò alquanto al monte, ma con mediocre freddo al piano”. L’anno precedente fu più mite. Il 1° marzo 1719 “doppo essere trascorso un inverno in aparenza di primavera” cominciò a nevicare “seguitando parte della notte” e “quasi tutta la mattina senza potersi apigliare sul terreno”. Poca roba, insomma. 

Invece, il marzo del 1721 sarà caratterizzato da precipitazioni nevose che “con grande impeto” copriranno la Romagna (per esempio, quasi ininterrottamente dal 9 al 12) e ancora dal 15 al 19 tanto che pareva “mestiere di ogni giorno”. La primavera, però, impedì accumuli importanti, infatti “se la neve caduta in tante volte fusse fiocata tutta unitamente” e “tutta si fusse apigliata” si sarebbe alzata “alla statura di homo”. Nella seconda metà di marzo, ancora si riporta che ogni giorno è “humido e piovoso, caricando il monte di molta neve”. 

Qualche anno prima, cioè il 1717, si scopre che la Quaresima del 1717 venne scandita dalla neve e spesso “il freddo grandissimo” faceva “gelare il fiume da una ripa all’altra”. Addirittura il 23 aprile, “venerdì giorno di San Giorgio”, imbiancò specialmente sui rilievi e ciò “cagionò per vari giorni un freddo grandissimo alla pianura, come haveva fatto anticipatamente per molti altri giorni in detto mese, onde tutte le corone de monti erano coperte di neve”. 


Commenti