Congiure di aprile

Nella partita a scacchi tra le grandi potenze del tempo per il piccolo Stato di Forlì la spunterà Caterina Sforza

Come l'intelligenza artificiale vede Innocenzo VIII, Ludovico il Moro e Caterina Sforza a Forlì

Con la morte di papa Sisto IV, l’autorità del Conte Girolamo Riario iniziò a sgretolarsi rapidamente. Era il 1484 e quelli che seguirono furono per Forlì anni di totale incertezza, una sorta di partita a scacchi tra le grandi potenze di allora. Il nuovo papa, Innocenzo VIII, in occasione del matrimonio di suo figlio Franceschetto Cibo con Maddalena de’ Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico, aveva in mente un’idea chiara. Vedeva, infatti, suo figlio, come Signore di Imola e Forlì. Nelle trattative del matrimonio, infatti, si parlava di “promisione di dargli poi lo Stato del conte Ieronimo” ove s'intendeva di Girolamo Riario. A Franceschetto Cibo (il diminutivo del nome era garante di bassa statura), secondo i disegni del Papa, sarebbe stata assegnata pure Faenza.

Tale prospettiva svegliò Ludovico il Moro, reggente del Ducato di Milano, che tutto voleva ma non l’espansione dell’influenza mediceo-papale in Romagna. Così progettò un piano segreto: i Riario avrebbero ceduto Imola e Forlì a Milano, in modo da aver un Signore più autorevole per scongiurare l’ipotesi di conferire il potere a Franceschetto Cibo. La segretezza di tale piano fu relativa se incontrò il favore del re di Napoli e di suo figlio Alfonso, duca di Calabria, desiderosi di contrastare sia Venezia sia Roma. Incontrava anche l’appoggio di Caterina Sforza, moglie di Girolamo Riario al quale, invece, non solleticava l’idea di farsi da parte. Firenze, però, cioè Lorenzo de’ Medici, era più propensa a sostenere l’ascesa del giovane Cibo. Franceschetto, nato a Napoli nel 1450, era così dedito al gioco da diventare sostanzialmente uno spiantato. Il matrimonio celebrato nel 1487 lo mise nella posizione di essere non solo figlio di Papa (Innocenzo VIII), ma pure cognato di Papa (Leone X). Poche luci, molte ombre: meglio, a quanto pare, che altro non sia stato che un Signore mancato. 

La situazione rimase così congelata finché Caterina Sforza, con chiaro istinto di conservazione, prese in mano la situazione e gestì le cose secondo la sua testa. Sostituì il castellano della rocca di Ravaldino affidandola a Tommasino Feo, uomo di fiducia e fratello del suo amante Giacomo. Pur perseguendo una politica filomilanese, rimase libera da ogni vincolo e con determinazione volle governare in tutta autonomia. Pertanto si può dire che dalla primavera del 1487 divenne padrona dello Stato di suo marito. 

In questo intreccio, all’ombra di San Mercuriale i fratelli Orsi preparavano una congiura contro Girolamo Riario, con l’appoggio esterno di Antonio Maria Ordelaffi, di papa Innocenzo VIII e di Lorenzo de’ Medici che ben si ricordava che quel Signore di Forlì aveva preso parte alla congiura dei Pazzi. Le casse dello Stato erano al verde e Riario era stato costretto a reintrodurre una forma di tassazione che, tra malcontento e debiti, sollevò specialmente i ceti più abbienti tra cui i fratelli Orsi e corroboravano sentimenti nostalgici nei confronti degli Ordelaffi, rappresentati da Antonio Maria. 
Di questo fatto già si è occupata questa rubrica ma basti ricordare che la sera del 14 aprile 1488, Girolamo Riario si trovava nella sala delle Ninfe del palazzo dell’attuale Municipio, in compagnia di alcuni amici. Checco Orsi aveva il diritto di accedere liberamente al Signore senza invito formale. Sfruttando questo privilegio, entrò a strada spianata e, fingendo di consegnare una lettera di credito per saldare il debito, estrasse un pugnale nascosto sotto il mantello e colpì il Signore al petto. Alle sue grida accorsero gli altri sicari, che lo finirono. Il corpo fu gettato dalla finestra e la folla, sobillata dagli Orsi, lo fece a pezzi.

Nonostante la morte di Riario, la Rocca di Ravaldino rifiutò di arrendersi. Caterina Sforza, fatta prigioniera, si offrì di convincere il castellano a cedere, promettendo obbedienza. Gli Orsi accettarono, confidando di poterla controllare tenendo in ostaggio i suoi figli. Ma una volta entrata nella rocca, Caterina ignorò le minacce e si preparò alla riconquista del potere. Già il 30 aprile, grazie al sostegno dello zio Ludovico il Moro, Caterina assunse il governo in nome del figlio Ottaviano, troppo giovane per regnare. A questo episodio è legata una leggenda: si narra che, affacciata dalle mura della rocca, Caterina rispose sollevandosi la gonna a chi minacciava di ucciderle i figli se non si fosse arresa: “Fatelo, se volete, ho qui lo strumento per farne degli altri”. 

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