Ultimi sprazzi di pace

Degrado e squallore in Borgo Cotogni nella Forlì di duecento anni fa: il caso della Casa della Pace

Il tratto finale di Borgo Pio o Borgo Cotogni

Duecento anni fa si poteva vedere, al posto dell’attuale edificio che ospita il “MegaForlì”, un lungo caseggiato. Su Borgo Cotogni (detto in quegli anni Borgo Pio) si aprivano, al piano terra, dieci finestre, due porte e due portoni.
Al primo piano, invece, si notavano quattordici finestre disposte a due a due. Era ciò che restava della “casa della Pace”, complesso dalla lunga storia completamente dimenticata dei cui tristi epigoni qui si tratteggia l'altrettanto triste epilogo. Visto il carico di istanze che sanno di guerra sul piano globale, può essere utile ricordare un luogo chiamato “la Pace” sul piano locale. Luogo, come detto, lungo il corso della Repubblica, asse che è stato di recente al centro di un recupero che pur meritorio e necessario non pare – almeno per ora - all'altezza di quanto auspicato. 

Era il 20 novembre 1821 quando il Deputato alle Strade ebbe a scrivere al Gonfaloniere di Forlì che “Il Borgo Pio, essendo destinato pel paseggio e pei pubblici divertimenti” avrebbe meritato “ogni cura onde sia reso il luogo il più sbarazzato, e nittido”, in modo che “l’affluenza delle persone, e la pubblica decenza non abbiano a soffrire”. Questi “locali degl'ex Crociferi”, sconsacrati da almeno vent'anni, infatti, “stante la prodigiosa quantità di Inquilini che procreano né tuguri situati a pianterreno”, versava nel totale degrado, in quanto gli inquilini erano avvezzi a “gettare sulla pubblica Via tutte le acque, orine, sterco ed immondezze” in modo che “non può transitarsi che con somma difficoltà, e con certezza d’imbrattarsi”. 

Insomma, bisognava correre ai ripari se è vero che “tali fetidezze” di “acque e materie schifose” si estendevano “lungo quel tratto di Borgo del menzionato locale sino alla porta principale”. Mentre Borgo Pio, il Corso, stava agghindandosi e ripulendosi con nuovi e più consoni orpelli, la vecchia casa della Pace era una sorta di ostello non certo raccomandabile, un casermone di derelitti, abbandonati a loro stessi e alle loro scorie. Una sacca di squallore e di miseria che contrastava con l'idea di igiene e decoro urbano che la città dei borghesi voleva comunicare. Così un vecchio convento, oggetto come tanti altri delle solite speculazioni dopo le spoliazioni napoleoniche, era diventato ricetto di disperati. 
Qualche decennio dopo, in luogo della Porta, sarebbe sorta la Barriera con i due caratteristici pilastri sormontati da due leoni, leoni che oggi restano imprigionati con mestizia all'ingresso della Fiera, in attesa o nella speranza di una collocazione più consona. 

Passavano gli anni, però, e si moltiplicavano le lamentele: nel 1823 il proprietario dell'immobile presentò il progetto di ristrutturazione. Ottenne  l’approvazione della Commissione d’Ornato il 23 aprile del 1825, giusto per allungare ancora i tempi. 
Il 15 novembre 1826, il Deputato alle Strade si rivolgerà ancora al Gonfaloniere, questa volta per bacchettare il proprietario in quanto “ha sovvertito l'ordine già stabilito”. Infatti, non ha previsto “la porta del primo corpo di Casa che resta in contatto coll'altra Casa”, come era stato deciso dal “pubblico Ornato” lasciando invece “una vecchia fenestra non corrispondente neppure alla Superiore”, questo solo per “un risparmio di pochi scudi”. Il parsimonioso Bartolomeo Parini (così si chiamava il proprietario) avrebbe poi ceduto l'immobile a un ramo dei Serughi, antichissima stirpe forlivese, che acquistò il fabbricato per renderlo un dignitoso complesso residenziale cancellando ogni reliquia visibile dell'antico convento. 


Commenti