Cantar senza memoria

Un baritono forlivese dal talento eccezionale è rimasto nel cono d’ombra per un caso più unico che raro

Napoleone III e la "Schola cantorum" di Giuseppe Abbati della Pinacoteca Civica di Forlì

Si può ricordare chi non ha avuto memoria. Quasi un paradosso, in queste righe viene presentata la fama singolare di un baritono forlivese: Gaetano Lami. Sulla sua figura, Archimede Montanelli scrisse accenti entusiastici: “Ecco un uomo che ha diritto ad un posto primario nel grand’albo delle notabilità artistiche del Canto italiano”. Nonostante questi appunti datati 1931, Lami oggi è un signor nessuno. La sua storia è intrecciata a quella del fratello, Antonio Lodovico (1801-1869) più noto perché impegnato nelle mene risorgimentali. Costui infatti era un carabiniere pontificio (con grado di quartiermastro) quando scelse di unirsi ai rivoltosi nelle sommosse del febbraio del 1831. In seguito agli alti e ai bassi dei “moti”, finì in Corsica poi in Francia dove, affiliatosi coi mazziniani, si unì alla “Giovine Italia” di cui divenne uno dei coordinatori nel 1840. 

Da allora – e si tenga in mente quest’anno – permase lungo tempo in Francia dove visse come emigrato pur potendo godere dell’amnistia accordatagli da Pio IX. Lo si ritroverà in Italia in seguito  agli eventi del 1848, al seguito del Corpo d’Armata dei volontari operanti in Lombardia fino a diventare Tenente colonnello. Riparò in Svizzera, quindi tornò in Francia, e l’anno successivo era al servizio della Repubblica Romana. Con la fine di quest’ultima andò in esilio a Parigi dove visse come antiquario distinguendosi quale studioso appassionato e collezionista di opere d’arte. Durante il secondo Impero gli fu concessa la cittadinanza francese, l’impiego di ricevitore della Corona e nell’agosto 1860 la Legion d’Onore. Amico di Napoleone III, fu da lui nominato controllore del materiale dell’Opera, infine cassiere dell’Imperial Teatro. 

Forse grazie agli uffici del fratello coraggioso, ardimentoso, il più tranquillo Gaetano in quel 1840 era a Parigi per esibirsi in un concerto a titolo di beneficenza per gli esuli su invito di Giuseppe Mazzini. Su lui, tra le pagine di “Musicisti e artisti forlivesi” pubblicato dall’associazione “Amici del Teatro” del 1957 si aggiunge che “per potenza e bellezza di voce fu tra i maggiori baritoni del suo tempo”. E allora perché ha meritato l’oblio? “Non poté – vi si legge – calcare le scene, nonostante le vistosissime offerte, per l’impossibilità di esibirsi senza la partitura in mano, quindi costretto a cantare solo nelle chiese e in concerti”. Michele Raffaelli, in “Musica e Musicisti di Romagna” (1997), ribadisce la stessa cosa: “fatto forse unico, non riuscì infatti a superare il limite rappresentato dalla sua incapacità ad esibirsi in pubblico senza la diretta lettura dello spartito. Si trovò quindi costretto, suo malgrado, a cantare nelle sale da concerto e nelle chiese”. 

Qualche riga in più la concede Archimede Montanelli nel suo testo “Nell’arte – medaglioni di illustri musicisti forlivesi” del 1931. Fornisce in seguito qualche indizio sugli estremi della sua vita: “nacque a Forlì, e quivi morì agli albori del secolo XX”. Archimede Montanelli, per ragione anagrafiche, aveva avuto modo di ascoltare il canto dello smemorato. “La bellissima voce da baritono – scrive - robusta ed alquanto agile, quindi obbediente e sempre pura nei portamenti più difficili da colorire, attesta una educazione vocale della miglior scuola, favorita da molta spontaneità di emissione”. Eccelse nella musica sacra, fors’anche perché non obbligava a tenere a mente i testi dei libretti, tuttavia, aggiunge Montanelli: “Da Rossini a Verdi si ebbero pagine affascinanti per efficacia di pensieri nei quali il cantante metteva tutta la sua arte, tutto il suo sentimento, egli signoreggiava la situazione, commovendo la generalità dei suoi uditori, e se stesso”. Dunque Gaetano Lami “era un grande artista; egli modulava la sua voce alle più possibili gradazioni di colorito, intonatissimo e quanto mai espressivo”.

Però, come detto, “disgraziatamente, benché fornito di splendidi mezzi vocali e di non comune intelligenza artistica, non poté fruire di tutti i vantaggi che l’arte del canto avrebbe potuto offrirgli. La natura che era stata larga dei suoi doni da una parte, lo privava di un coefficiente indispensabile alla completa riuscita dell’artista lirico: la memoria!”. Montanelli più avanti precisa: “Gaetano Lami, distinto lettore di musica, interprete eccellente d’ogni genere di musica vocale, specialmente sacra, sentiva imperioso il bisogno di avere la sua cartella dinnanzi agli occhi, la quale allontanava soltanto in certe frasi molto espressive, con portamenti di voce che sfiorava appena; gli occhi rivolti in alto tremoli e sorridenti, tutto il viso compreso di una gioia ineffabile”. Lami “elettissimo artista” con “l’anima bella”, dunque, “non poté accettare dall’Imperatore Napoleone III il posto di primo baritono al Teatro dell’Opera di Parigi, non potendo, per imperfezione fisica, mandare alla memoria la parte per quanto modesta di un’opera”. Questa “strana fatalità” lo tormentò per tutta la vita, sebbene sia stato “confortato dai grandi successi, veri trionfi, che riportava nelle chiese di tutta Romagna e fuori”. Oggi, tempo in cui si vuole rilanciare il “liscio”, occorrerebbe non ignorare la prolifica tradizione popolare del melodramma a Forlì. Nessuna via, nessun luogo porta il suo nome: vittima due volte della memoria.

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