Un essere misterioso si nasconde in una casa del centro. Nel 1949, fenomeni strani si ripetono mettendo in subbuglio le famiglie di una palazzina. Cosa c’è di vero?
Forlì, via Maroncelli all'altezza del civico 20
“Una casa del centro di Forlì abitata da un essere misterioso” si legge tra le pagine del “Giornale dell’Emilia” del 25 dicembre 1949. Ne segue un testo che si sviluppa su una narrazione quasi letteraria con accenti di spiccato localismo (“la Gabriella”): è anonimo, ma sembrerebbe, con una certa esagerazione immaginifica, essere uno dei racconti di Roger Pater, quelli delle “Voci dall’altrove”. Alla vicenda è dato parecchio spazio, si viene infatti a sapere ciò che accadeva “da circa tre giorni nella casa al numero 20 di via Maroncelli”. La casa, a quel tempo, era abitata “al piano terreno dalla famiglia Antoniazzi ed al piano superiore dalle famiglie Tesorieri e Rubboli”.
Qui “si vive in uno stato di apprensione eccezionale in quanto da un momento all’altro, uno dei numerosi componenti le famiglie degli inquilini, fra cui sono diversi giovani, concentra la facoltà uditiva perché gli pare di sentire un lieve fruscio di passi lungo le scale o un debole gemito che discende dal solaio della vecchia casa”. Da ciò deriva “una condizione d’animo non certo indicata per queste giornate che precedono la solenne ricorrenza del Natale”.
Il cronista procede dunque “con ordine” a descrivere ogni dettaglio possibile di questa storia impossibile. “Il fenomeno si palesava per la prima volta verso le ore 17.30 del giorno 21 e lo avvertì per prima la bimba Gabriella Tesorieri. La Gabriella rimase trasecolata: un verso che non era urlo, che non era un miagolio, che era neppure il lamento di un volatile migratore, discendeva dal vecchio e deserto solaio per la tromba delle scale. Col sangue agghiacciato nelle vene, la Gabriella chiamava la signorina Rubboli ed anche quest’ultima impallidiva nel sentire l’eco che aveva tutte le caratteristiche di un conato come ci è stato descritto da un membro della famiglia Antoniazzi. Tutti gli inquilini accorsi poi, al ripetersi dello strano gemito, si rifugiarono al piano terreno facendo le scale a precipizio. Dopo ancora qualche manifestazione il fenomeno cessava ed un po’ rinfrancati dai vicini, gli inquilini rientrarono nelle rispettive abitazioni. Fu una notte turbata da incubi e, per alcuni, passò insonne fino all’alba del giorno 22 che trascorse senza novità”.
Il fenomeno, però, si ripete “all’ora del giorno precedente” anche il 22 dicembre, con i soliti “conati più o meno lamentosi”. I suoni sinistri “venivano distintamente percepiti da Antonello Antoniazzi, Silvana Rubboli e dai tre Tesorieri: Modesta, Ughetto e Lelia”. Ormai, però, si era sparsa la voce: “ La preoccupazione e la paura si diffondevano nella cerchia dei vicini richiamati dal trambusto”. Modesta Tesorieri “si poneva a guardia del portone di accesso e, più tardi, le sembrava di scorgere un uomo che rasentando il muro si allontanava per la strada”. Ciò mette in moto anche la Questura, con l’intervento di due agenti di Polizia “all’uopo chiamati”. Pur avendo controllato “scale, solaio e ripostigli”, la ricerca “rimaneva infruttuosa”. Era da dire: “Gli agenti si erano appena allontanati che Alberto Antoniazzi subito dopo percepiva di nuovo il verso che sembrava provenire dalla tromba delle scale”. Viene chiamata ancora una volta la Questura e tornano altri agenti che “rientravano però in caserma nuovamente delusi”.
La notte del 23 “tenne perplessi quasi tutti”, e “si invocava l’alba come un sollievo allo spirito”. Ma il tutto si ripete: “Poco prima delle 7 parve di sentire un rumore di passi e, poco dopo, si rivelò ancora il lamento: di nuovo la quiete fino alle 18.15 e da quell’ora il verso si espandeva debolmente”. Ennesimo intervento della Polizia e gli agenti, questa volta, “perlustrando l’abbaino facevano una scoperta sensazionale: la corda con la quale era stata assicurata dall’interno la chiusura di una botola era stata recisa con un’arma da taglio e la porticina era spalancata”. Inoltre “una scala a pioli non era stata rimossa dal suo posto”. Tutto ciò faceva ritenere che “l’autore della manifestazione spiritica doveva essere un abile acrobata per compiere il duplice salto in salita ed in discesa, per superare il dislivello di circa tre metri”.
A questo punto le congetture si sprecano. Che sarà successo al numero 20 di via Maroncelli? Si può parlare di “uno squilibrato che percorrendo i tetti si annida nell’abbaino e dominato dall’influsso che si espande durante il trapasso dal sole alla luna emette il lamento del suo male?” C’è da aggiungere, rassicurando, che “l’esistenza di un licantropo viene esclusa” anche se ci si chiede se sia “uno spiritato”. L’articolo ha poi una breve coda narrativa in cui si lascia preludere a sviluppi che, di fatto, mancheranno: “E non sono solo questi gli interrogativi che affiorano sulle labbra del popolo che da due sere, nell’ora del trapasso dal sole alla luna, si accalca all’ingresso della casa segnalata col numero 20 di via Maroncelli”.
A integrazione di tale vicenda bizzarra, è da considerare – per quel che serve, ma è pur sempre storia – che il numero 20 di via Maroncelli (se il civico del ‘49 è quello attuale) corrisponde all’antica chiesa di San Martino in Castello. Chiesa scomparsa come altre in seguito alle soppressioni napoleoniche. Vorrà dire qualcosa? Chissà. Col senno di poi, pare però verosimile che tanto trambusto sia stato provocato da un barbagianni, il cui verso, in effetti, potrebbe dar luogo a fraintendimenti.
Commenti
Posta un commento