È un fatto “assai strano” quello che accadde davanti a Porta Ravaldino il 29 novembre 1720. Che sorte avrà avuto l’anonimo alemanno?
Tra settembre e ottobre 1720 da Forlì passavano “due colonne di cavalleria alle quali il Publico assegnò li soliti quartieri”. Si tratta di “soldati alemanni” che vennnero accolti presso “li conventi di varii claustrali” mentre agli ufficiali erano state destinate “le case de’ particolari”. Erano probabilmente diretti in Sicilia che in seguito al trattato dell’Aia era entrata a far parte dei dominii di Carlo VI d’Asburgo.
Tale squarcio della prima metà del Settecento nel capoluogo romagnolo è desunto da un quaderno inedito e scritto per mano di un esponente della nobile famiglia Brandolini dall’Aste, conservato nell’omonimo fondo presso l’Archivio di Stato. Si capisce che i forlivesi che – volenti o nolenti – si trovarono a ospitare gli armati, presero l’imposizione malvolentieri e “molti di questi si sgravarono di tale incommodo”. Così li sbolognarono “à loro spese nelli apartamenti del Pubblico Palazzo”. In seguito all’arrivo di altre “colonne de medemi Allemani”, queste “stettero nell’Osterie contribuendo un tanto i padroni delle case, che non vollero un tale disturbo per il loro mantenimento”. Il passaggio di eserciti stranieri sulla via Emilia era cosa comune a quel tempo, essendo una strada privilegiata che portava dal Settentrione degli Imperi alla Roma dei Papi. A questa evenienza le città erano preparate con un apposito protocollo trovando ricetto come potevano, con buona pace dei cittadini pazienti, per truppe e salmerie provenienti provenienti da luoghi lontani.
Circa un mese più tardi (è il 29 novembre 1720) si verificò però “un caso assai strano”. Infatti, nel quadro di questi passaggi di militi in Romagna, ogni tanto qualcuno smetteva l’uniforme preferendo non seguire le truppe e si dava alla macchia, per i più disparati motivi. Così, uno di questi alemanni era diventato “disertore” per aver “ucciso un altro tedesco”. Non se ne conosce il nome ed è protagonista di una storia piccola, tuttavia nella Forlì del tempo evidentemente se ne parlava come fatto curioso, un argomento sapido da raccontare e tramandare. Costui, dunque, “doppo havere tentato in vano ala Porta Cotogni, e San Pietro, d’introdursi furtivamente in città” provò a farlo “anche a quella di Ravaldino”. Tuttavia anche questa volta “senza riuscita”. Ci provò una seconda volta, grazie all’arrivo improvviso di un “biroccio”. Fu dunque una “congiuntura”, perché l’alemanno s’appostò aspettando l’“ingresso” di un veicolo, onde far aprire un’altra volta la Porta. Si servì quindi, quasi un cavallo di Troia, di un carretto: “appiattitosi dietro à quello, astutamente entrò”.
Le guardie alla Porta, un po’ distratte oppure incaute, non s’accorsero di nulla finché una di esse volto lo sguardo vide l’alemanno appiattito. I soldati a difesa dell’ingresso cittadino “tardi avedutisi, gli si lanciarono dietro per ributtarlo, o tratenerlo”. Ma anche l’intruso era un soldato, quindi avvezzo a scaltrezza e strategie, tanto che alle guardie forlivesi rimase in mano solo il “cappello” dello straniero - “fatto più ardito dal suo pericolo” - che si era lasciato cadere dalla testa appena “presa la fuga”. Insomma, le guardie s’appigliarono per contendersi il copricapo prima di capire che l’intruso era entrato in Borgo Ravaldino mutandosi in uccel di bosco, correndo verso il convento dei domenicani. Ne conseguì un inseguimento che trovò fine sulla soglia del terreno dei padri di San Domenico. I religiosi lo accolsero e qui “hebbe ricovero per qualche giorno” in cambio di servizi e lavori: “esercizii del monastero”.
Non si sa bene perché, ma “tacitamente partissi”, benché avrebbe voluto rimanere nel convento di San Domenico per “più lunga dimora”. L’alemanno partì in direzione opposta, verso l’Appennino, e “in passare da per il confine del Fiorentino” venne arrestato dalle più solerti forze dell’ordine toscane del “presidio della Terra del Sole”. Qui, “fatta la quarantena, fu rilasciato ma sopra una galera”. Il compilatore, con sarcasmo, conclude la narrazione puntualizzando che questo è un “degno fine di chi abusò della fortuna che si era presentata in Forlì nei Padri di san Domenico”. Null’altro si sa sulla sorte di questo anonimo alemanno uscito dai ranghi.
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