Diario sotto le bombe

 La prima settimana di novembre di ottant’anni fa alla Pianta negli scritti finora inediti di monsignor Mario Bondini



In un opuscolo appena stampato in proprio a cura dell’attuale parroco di Santa Maria Assunta della Pianta, don Filippo Foietta, si può leggere il diario del parroco di allora, don Mario Bondini, testimone dei giorni precedenti la liberazione di Forlì. A ridosso del 9 novembre 1944, data che si apre nella notte col boato del crollo di buona parte del campanile del Duomo e concluso con la definitiva presa della città da parte delle truppe alleate, si possono così rivivere dettagli strazianti che si rinnovano nelle guerre d’ogni tempo. È anche l’occasione per rileggere nomi di caduti, per ricordare che anche fuori dalle mura la furia della guerra ha chiesto il conto.

Il 29 ottobre 1944, monsignor Bondini sa che “il fronte è sul fiume Ronco: a Coriano e a Bagnolo”. Pertanto: “Non suono le campane, tanto sarebbe anche inutile. La gente è scappata in casa e nei rifugi. Celebro tuttavia la Santa Messa delle 8:00 e delle 10 ma all'altare di San Giuseppe dove trasporto anche il SS.mo. Pochissime persone. Le granate si fanno più spesse”. Una “ventina di persone” vive una “tragedia”: “Terminata appena la recita del Rosario caccia bombardieri iniziano la loro opera di distruzione. La veemenza delle bombe di questo calibro scuote la chiesa dalle fondamenta. Noi ci si rifugia in un cantuccio dell'altare di San Giuseppe; quindi, dalla porticina dello stesso altare si cerca di raggiungere il corridoio di casa. Ma ne siamo rispediti dalla mitraglia che entra dalla porta e dalle feritoie della inferriata sopra la porta d'ingresso. Dopo le bombe anche il mitragliamento! Bilancio assai triste: la chiesa non è stata raggiunta dalle bombe, ma solo colpita da schegge e dal mitragliamento! Le tre bombe a lei destinate non l'hanno raggiunta. Una è caduta sull'aia del colono Montanari, l'altra sulla strada, la terza ai piedi del campanile. Resta polverizzata la croce con piedistallo in cemento armato, ma il campanile è salvo. Entro la chiesa lo spettacolo è terrificante: la porta d'ingresso, per lo spostamento d'aria, ha raggiunto, a pezzi, l'altare maggiore; il soffitto quasi totalmente crollato; squarci aperti nel tetto; tutte le porte divelte e fracassate; vetri totalmente distrutti; finestre e finestroni lanciati qua e là in chiesa. L'organo completamente sconvolto; la statua dell’Addolorata, opera del Graziani, rovesciata a terra e frantumata, i banchi sconvolti e spezzati. I muri scheggiati e mitragliati; le pitture danneggiate, la decorazione sparita; tutte le statue colpite; il tabernacolo stesso non è risparmiato: una scheggia è penetrata nella sommità e lì resterà ad perpetuam memoriam! Anche la canonica non è stata risparmiata. Tutte le soffitte a terra; porte e infissi scardinati, vetri rotti, la copertura del tetto qua e là bucato; muri spezzati; nello studio distrutta la libreria, danneggiati altri mobili e nella mia camera da letto colpiti due armadi e lanciata sulla strada una persiana”. Tuttavia “lo spettacolo più triste si è offerto ai nostri occhi uscendo all'aperto”. Infatti “l'edificio dell'Asilo completamente abbattuto: le bombe l'avevano colpito in pieno. Gli alberi sacrificati; il piccolo loggiato del colono abbattuto. La facciata della Chiesa, della canonica e dell’abside esterna crivellata dalle schegge e dal mitragliamento: una vera desolazione! Grazia singolare! In tanto trambusto non un morto e neppure un ferito. Ma il lavoro di 25 anni di parrocchia distrutto in cinque minuti appena!”. Dopo circa mezz’ora “un ufficiale tedesco si presentò in canonica chiedendo se ci fossero stati morti e feriti. Alla mia risposta negativa se ne partì; ma furono subito in chiesa a far razzia sergenti tedeschi asportando pezzi di cera. Indirizzai subito le cinque suore a San Biagio dai salesiani essendo anche la canonica inabitabile; con l'aiuto di due volenterosi accorsi in soccorso, Fabbri Aurelio e Scarzani Luigi, potei con mezzi di fortuna chiudere tutte le porte”.
Il giorno successivo, il sacerdote celebra “la Santa Messa in canonica nella camera di pranzo, l’unica che ha ancora il soffitto in buono stato”. Tuttavia già al mattino “insieme con la famiglia del colono, ci rechiamo presso la famiglia Gramellini, essendo comparsi i bombardieri”. Più tardi “le granate alleate si susseguono con ritmo sempre più crescente e i caccia volteggiano sopra di noi lanciando i loro carichi micidiali”.

Il 1° novembre 1944 scrive: “Celebrata la Santa Messa e comunicati quasi tutti i presenti 16 su 17 ci ritiriamo in cantina. Sulle 13 circa cacciabombardieri colpiscono la casa del colono Nozzoli Quinto. Tre della famiglia trovano la morte: Nozzoli Domenico di Arcangelo, celibe, di anni 23; Nozzoli Tommaso di Arcangelo di anni 34 e la di lui moglie Nadiani Maria, fu Gaspare di anni 28. Corro a confortare la famiglia e a benedire le salme. Spettacolo desolante!”. Invece, il 3 novembre “colpito da granata muore Casadio Anselmo di Gaetano, di anni 40, lasciando la moglie in stato interessante e quattro piccoli figli”. Passa qualche giorno di quiete relativa e il 6 novembre torna ad annotare nel diario: “In casa Mazzoni Antonio sono uccisi, colpiti da granata, Mazzoni Giacomo, di Biagio, di anni 13 e Malmesi Ottavio, fu Luigi, di anni 28. Nella notte antecedente una granata colpisce la casa di mia proprietà asportando il fianco sinistro della facciata. Schegge entrano anche nel nostro sotterraneo, ma ci lasciano intatti. Il Signore ha risparmiato la mia persona ma non le mie cose. Chi mi rialzerà?”.

Ancora il 7 novembre è “giornata di grande lutto per la parrocchia”. Infatti, “Sulle ore 13:15 circa un centinaio di cacciabombardieri scaricano ... su di una nostra zona. È un inferno indescrivibile: si direbbe un finimondo. Dal rifugio sollevo il Santissimo, che porto con me dal giorno 28 ottobre, implorando misericordia. Restano vittime: Cipolletti William di Alvaro di anni 6; Montanari Gioacchino di Tommaso, celibe di anni 46; Sirri Domenico di Giovanni, coniugato di anni 62; Tassi Giuseppe, fu Giovanni, di anni 82; Tramonti Adele in Tassi di anni 41”. Ben presto “s’intuisce che gli alleati intendevano avanzare e una gragnola di granate persistente tormenta la nostra zona la notte tra il 7 e l’8 novembre”. In questo contesto “sono colpite a morte: Baggioni Guglielmo, fu Pietro, coniugato, di anni 59; Lanzoni Giuseppe, fu Angelo, coniugato, di anni 63; Lanzoni Giuseppe fu Pasquino, coniugato, di anni 63; Zignani Agostino Giovanni fu Gaspare, coniug., di anni 74; Barzanti Pellegrino, fu Giacomo, coniugato, di anni 42. È tale la sparatoria di questa notte dal 7 all’8 che la mattina, per prudenza non celebro la Santa Messa”.
Alle 9 del mattino del 9 novembre “carri armati inglesi hanno raggiunto la chiesa senza incontrare opposizione. Dopo tutto il Signore ci ha liberati dall'orrore del combattimento fra le nostre case!”. Se però “gli alleati sono giunti, ma non cessano le vittime delle granate tedesche. Muoiono: Bertoni Egisto di Domenico, coniugato, di anni 49, ferito il giorno 7. Bonoli Dino, celibe, di anni 27; Ortali Giulia vedova Zignani, di anni 64; Fabbri Amedea in Miserocchi di anni 35, Gavelli Rosa, vedova Maroni di anni 51. Nel passaggio del fronte 21 vittime fra i civili e neppure un morto tedesco o alleato”. La conclusione del parroco è la seguente: “Oh! La grande civiltà del secolo XX! I bimbi, i vecchi, le donne, gli inermi, cadono sotto le bombe e la mitraglia; i militari sono risparmiati! In quattro anni e mezzo di guerra sono caduti al fronte 11 militari della parrocchia mentre 32 sono le vittime comprese quelle dei bombardamenti del 19 maggio, 5 giugno e 25 agosto. Vi poteva essere guerra più inumana!”.

Su questi fatti, l’attento Antonio Mambelli nel suo “Diario degli avvenimenti in Forlì e Romagna dal 1939 al 1945” (un testo che dovrebbe essere letto per comprendere momenti tanto tragici) aggiunge che il “rifugio presso la casa colonica di Villa Pianta” colpito da una “bomba d’aereo” causando “quattro morti” era stato “scavato sotto un pagliaio”. Per il resto, in quei giorni fatti simili si ripetono in diverse “ville” (frazioni) in direzione Ravenna, come Ospedaletto, San Giorgio, Poggio, Pieve Acquedotto, Durazzano, Durazzanino, Barisano, San Pancrazio, Malmissole, Branzolino e non solo, col conseguente tragico bilancio di barbarie: ammazzamenti, razzie, retate, saccheggi, ritorsioni, vendette, violazioni di tombe. E ciò è capitato in tutta la campagna forlivese e pure in città. Il 6 novembre, tra i tanti lutti, si riscontra una “infernale attività aerea nel cielo sereno, colonne di fumo si levano da tutte le parti” mentre “la condizione di vita diventa più tragica ad ogni ora in tutte le ville; non si sa come, né ove seppellire i morti”. Il giorno dopo, Mambelli annota: “Siamo storditi, da giorni nessuno dorme. Guardando con occhi instupiditi, gli orecchi intronati dal fracasso degli spari, il cielo che si tinge di pennellate sanguigne, sembra che tutto debba sommergere in una voragine di fuoco, ripetendosi per Forlì e le sue ville il destino di Sodoma”.

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