I vallombrosani, il chiostro, spigolature e nomi del tardo Cinquecento tra i conti del calzolaio di fiducia dell’Abbazia
Il 26 ottobre si festeggia San Mercuriale, primo vescovo di Forlì, cui è dedicata la basilica che val da sola una visita in questa città in attesa di veder completati i lavori nel chiostro. Chiostro che ha le sue origini nel tardo Cinquecento e che, pur essendo stato stravolto con la sua apertura tra il 1940 e il 1941, conserva un respiro contemplativo tutto suo benché per il passaggio e ineducate frequentazioni sia opportuno chiederne una più efficace protezione. Lo si fa risalire, infatti, al 1582 su disegno di un certo maestro Simone, d’origine lombarda. La loggia fu sede della biblioteca donata da Girolamo Mercuriali e i monaci vi tenevano lezioni di fisica e di logica. Una comunità ricca, quella dei vallombrosani, non solo di sostanze ma pure di fermenti culturali e di occasioni di studio. In un libro ingiallito a firma di don Bruno Bazzoli e Sergio Selli, pubblicato nel 1960 dalla Cassa dei Risparmi, si legge delle “lunette eseguite ad affresco in parte ora portate su tela e restaurate dal maestro Fortini” presenti nel chiostro. Di esse si dice che furono eseguite “da un certo maestro Silvio nel 1601” e possono definirsi “opera di influenza manierista” ma finirono per essere “mal giudicate attraverso i secoli e lasciate quasi sempre in uno stato di abbandono e con l’ultima guerra addirittura rese mutile in alcune parti”. Tale situazione ha perdurato ben oltre la pubblicazione del testo, e in tempi ragionevoli, ora, se ne potrà riscoprire la bellezza dopo un attento lavoro già auspicato dal volume citato: “Questo non toglie però le speranze di un nuovo restauro che possa valorizzare quelle povere figure che in origine dovevano narrare le storie della vita e dei miracoli di San Giovanni Gualberto ora rimasti pezzi isolati”.
Per sapere però qualcosina in più dei vallombrosani che in quegli anni assistevano alla costruzione del chiostro, o i primi a passeggiarvi nel segreto del cortile, si può sfogliare un libretto di conti capace di suscitare nomi e spigolature. Queste pagine sono conservate presso l’Archivio di Stato di Forlì e fanno riferimento alle spese per abiti e calzature dei religiosi di San Mercuriale nel tardo Cinquecento. In questo caso, si potrebbe prendere come campione l’anno 1589. Ecco dunque l’esigenza di “scarpe” e di “pianelle”. Quasi tutti i frati ne ordinavano due paia all’anno (ricorrono spesso le date stagionali del 30 maggio e del 20 ottobre). C’era poi chi aveva bisogno di tutto l’“habito” con “tunica et cappuccio”. Viene citata l’esigenza della “gabbanella”, di “calze” e “calzettoni”, “camicie”, “calzoni”. Solo gli addetti ai lavori potranno distinguere i vari materiali: “panno lino”, la “tela bottana”, il “bolino”, il “panno di San Casciano”. Vi si scorgono pure altre richieste ancor più difficili da decifrare, come per esempio i “cinque ferri”, o le “due funicelle”.
La “Badia” assicurava a ciascun vallombrosano una cifra corrispondente a 33 B(aiocchi?) “per suo vestire”. Se il calzolaio (pare si chiamasse Lorenzo Palmieri) ha citato tutti i frati di San Mercuriale di quel 1589 - e se chi ha scritto ha saputo interpretarne correttamente la grafia - emerge una comunità di diciannove uomini provenienti da diverse zone dell’Italia, specialmente da Toscana e Lombardia. Eccoli, qui di seguito, in rassegna.
Il priore, don Cirillo, chiede “panno per uso di calzoni”, oltre all’abito e al cappuccio. Il 22 giugno ha il suo paio di scarpe, il 20 ottobre il paio di pianelle e il 25 novembre ottiene un altro paio di quest’ultimo tipo di calzature.
Padre don Teodosio da Bergamo, invece, si accontenta di un paio di pianelle nuove il 20 ottobre.
Il sagrestano, don Camillo, vuole “trenta saia e cinque braccia di telabottana” nonché “quarantanove braccia di bolino” e anche per lui è assicurato il suo paio di scarpe e altrettanto di pianelle.
Il Molto Reverendo Padre don Teodoro, l’Abate, il 20 giugno fa foderare “un cappello e un giubbone in tela cilandrata”, il 21 settembre (non è chiaro perché), riceve una piccola somma “per andar a Faenza” mentre il 12 ottobre riceve “una crocetta” e commissiona “una fascia data al suo fratello e altre robe”. Sempre don Teodoro riceve nel corso del 1589 due paia di scarpe e due di pianelle.
Il “camerlingo”, Padre don Vitale, spende 15 baiocchi “di panno per calzoni e un giubbone di tela cilandrata”. Complessivamente, anche per lui ci sono quattro scarpe e quattro pianelle.
Lo “scriba”, Padre don Urbano da Bergamo, chiede “calze e mantello”, e il canonico paio di scarpe e pianelle.
Padre don Stefano da Padova vuole “una tonaca” e “una camiciuola” e per le calzature come sopra.
Padre don Girolamo da San Casciano non chiede altro che scarpe e pianelle, un paio per ciascun tipo. Padre don Silvestro da Forlì ha bisogno di una “tonaca”, di “tre tela nera”, di “un cappello”, di “panno e soppanno di calzoni”, nonché “tela e calzini”, oltre a scarpe e pianelle.
Padre don Simpliciano da Firenze ottiene “un camice”, e “un par di lavori adì 6 giugno 1589”; il 20 ottobre “paia due scarpe e pianelle”.
Padre don Hortensio da San Casciano desidera “calzoni”, “calze”, “una cocolla”, “una camiciuola” e “un giubbone”; oltre al paio di scarpe e di pianelle al 20 ottobre.
Padre don Colombano da Fiorenza, chiede “un cappello” e della “tela bottana nera”, nonché “un paio di pianelle il 20 ottobre”.
Padre don Giovanni (medico o maestro), vuole “calzoni”, e “tela bottana nera”, quattro paia di scarpe e pianelle sono per lui.
Padre don Teofile chiede “un impiastrone”, “una camicia”, “tela per un giubbone”, “tela cilandrata”, “una bambagia e una contrafodera di giubbone”, oltre alla solita questione sulle calzature.
Padre don Diodato ottiene “un paio di calze” e mette in conto “Baiocchi 11 pagati al bresciano agucchiatore”, nonché una “valigia”, degli “stivali” e ancora “un debito pagato con i denari che haveva in mano di Bergamo”. Gli sono addebitati pure una “tonaca”, della “tela bottana” e del “soppanno”, e “panno bianco per calze”, oltre a due paia di pianelle tra il 20 ottobre e il 6 novembre.
Fra Romano da Firenze, canonico, ha in conto “panno lino”, un “paio di maniche”, “merletti e mantello”, e “uno scambio d’una camicia data di commissione del Padre Abate a fra Sisto commesso quando passò di qui a Roma”. Anche per lui un paio di scarpe e uno di pianelle.
Padre don Marcello da Firenze ottiene “quattro paia di calzoni”, “panno lino”, “camice”, “calzetti in panno lino”, “panno di Casentino”, e un paio di pianelle.
Fra Benedetto da Vercelli vuole “tre camicie” e “una gabbanella” oltre alle solite calzature.
Fra Ventura da Vaiano chiede “tonaca”, “habito e cappuccio” nonché la “tela bottana” e due paia di pianelle tra il 30 maggio e il 20 ottobre.
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