Eufemia la benefattrice

La sanità gratuita nella spezieria dei poveri nata dall’eredità della contessa Marchesi Corbizzi nell’ottobre del 1767

Particolare della "spezieria dei poveri" con gli stemmi dei Marchesi e dei Corbizzi

Nel Rialto Piazza fa bella mostra di sé una palazzina dove, almeno fino a tutta l’estate del 2021, esisteva la farmacia Centrale. La storia di questo luogo può trovare l’origine in una data: il 21 ottobre 1767, giorno in cui morì donna Eufemia Corbizzi nata Marchesi. La signora (suo nonno era lo storico Sigismondo) lasciò la sua fortuna a chi non poteva permettersi cure o medicinali. Vedova di Filippo Corbizzi, ultimo esponente di una famiglia dalle origini toscane da secoli – almeno per un ramo – trasferita a Forlì dove divenne famosa per un Corbizzo, consigliere di Caterina Sforza, la benefattrice fece sì che si perpetuasse la memoria dell’antica stirpe con un’opera di beneficenza aperta alla cittadinanza forlivese. 
Nel libretto di un dramma giocoso scritto da Goldoni per compositori contemporanei a questa vicenda, lo speziale Sempronio, immaginandosi di partire per la Turchia dove avrebbe aperto una nuova bottega, diceva: “Porterò meco unguenti, / spiriti, elettuari, / droghe, essenze, empirò mezza felucca / con oglio perfettissimo di zucca”. Anche qui si tratta di speziali: l’edificio forlivese, infatti, è noto come “spezieria dei poveri”. 

Per saperne di più, occorre scomodare Sesto Matteucci che nel 1843 pubblicò le “Memorie storiche intorno ai forlivesi benemeriti della umanità”. In quel tempo le spezierie erano otto, ma quando si aprì il testamento della contessa Eufemia erano tre. La sua, però, era speciale. Il notaio, Lorenzo Ubaldini, aprendo la successione, rese pubbliche le di lei ultime volontà. La dama voleva che “si fondasse a Forlì una spezieria che i medicinali a tutti i poveri della città gratuitamente ed in perpetuo somministrasse”. 
Nominò esecutore del testamento, nonché suo erede universale, il dottor Domenico Savorelli “il quale diè tosto mano a quest’opera santa che il nome dell’egregia dama fece ne’ secoli durevole”. 

Fu Savorelli a far costruire nella forma che ancora oggi si vede l’edificio su progetto di Luigi Mirri nel 1781. Due anni più tardi morì e a sua volta lasciò come ultime volontà “che cioè l’erede della Marchesi era la spezieria da lui aperta a seconda della volontà della testatrice” e “che quindi i beni della medesima si dovevano in perpetuo erogare nel mantenimento di quella, e nelle compre di medicine pei poveri”. Se poi “gli utili e profitti di questa spezieria crescessero in modo che vi fossero avanzi di qualche rilievo” fu stabilito che “si trovasse o si fabbricasse a Forlì, e non altrove, una commoda abitazione pei poveri pazzi, nella quale venissero alimentati, assistiti, e serviti”. A sovraintendere l’opera, come già richiesto dalla signora Eufemia, sarebbero stati “monsignor vescovo, il priore della carità, il priore dei 90 pacifici”. Pure Savorelli legò tutte le sue sostanze al momento della morte alla spezieria, sempre “al servizio dei poveri infermi”. 
L’istituto fu quindi “incorporato nell’amministrazione generale di beneficenza ed istruzione”.
Dopo la fine dell’occupazione francese, pare che il consiglio di amministrazione voluto dalla testatrice fosse un ricordo, a parte la presenza “del priore del Monte (di Pietà)”. 
È ancora Matteucci che rivela che per “essere ammessi al beneficio della somministrazione dei medicinali” occorre soddisfare i seguenti requisiti: “l’assoluta miserabilità” e “la nascita forlivese”. 
L’aspirante “ne fa domanda alla curia vescovile colle suddette attestazioni e colla ricetta del medico, a piè della quale monsignor vicario fa la relativa ordinanza”. Un servizio sociale di primaria importanza per una città che nei primi anni dell’Ottocento contava circa trentamila abitanti di cui più o meno la metà dentro le mura. Il farmacista era pagato 120 scudi all’anno più l’alloggio e il facchino 72 scudi annui.

Dal rendiconto del farmacista Antonio Morandi, si scopre che dal 1827 al 1842 veniva somministrata gratis una quantità di medicine “che non trovasi proporzionata ai bisogni della classe povera, giacché vedemmo che in Forlì la media dei malati assolutamente poveri è di 69 individui circa”. L’utile, però, negli anni immediatamente precedenti allo scritto di Sesto Matteucci, era di tutto rispetto ma ciò non valse – secondo quanto risulta - a costruire la “commoda abitazione pei poveri pazzi”. Si preferì invece potenziare i servizi della spezieria cui il dottor Savorelli volle “aggiungere una bottega di droghe, la quale, sussidiando la prima, aprisse col traffico all’ingrosso e al minuto un altro copioso ramo di guadagno alla pia opera; bottega che egli ordinò si mantenesse in perpetuo colla sua eredità”. Questa linea, al 1830, pare fosse già chiusa. Per finire, Matteucci conclude con questa frase: “Sappia intanto il povero che le ceneri della Corbizzi e del Savorelli giacciono senza l’onore di una pietra. Ma le preci del misero sovvenuto sono ad essi di molto maggior gloria che i magnifici monumenti elevati dai posteri doviziosi”. Un'iscrizione sull'edificio all'inizio di corso Garibaldi oggi non è posta nel giusto risalto pur ricordando questa “pia e generosa dama il cui nome è sacro ai poveri”: vi si legge che l'edificio è “monumento eterno” di “Eufemia, figlia del nobile cavalier Giorgio Viviano Marchesi, donna incomparabile per pietà, fede e munificenza”.


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