Da Forlì per Sebenico

Tomaso Serughi, uomo d’arme del Seicento, ebbe fama per le sue imprese contro i turchi. Eccolo riscoperto in due documenti inediti

Una ricostruzione di come poteva presentarsi Tomaso Serughi, davanti al palazzo omonimo e sotto il suo blasone

Anno 1647: il 31 agosto i turchi assalgono Sebenico sotto una pioggia d’acqua e palle da cannone. Dopo l’insuccesso dei primi giorni, gli ottomani ripresero a cannoneggiare per ore il 5 settembre cui risposero fanti italiani e picchieri tedeschi. In mezzo restavano i civili della Dalmazia, territorio veneziano, i quali dovettero sopportare una recrudescenza dei combattimenti aizzati pure dalla presenza della scimitarra del visir. Una breccia apertasi nelle mura di Sebenico non fu sufficiente a consentire la vittoria turca, però la Serenissima inviò rinforzi massicci: più di mille fanti, dragoni e granatieri, italiani e tedeschi, non solo per contrastare gli assedianti ma pure per soccorrere gli assediati. I generali ottomani, sbigottiti, si ritirarono all’alba del 12 settembre. L’assedio di Sebenico, città veneziana sulla costa adriatica della Dalmazia, costò almeno quattromila soldati morti e centinaia di migliaia di caduti tra i civili per ferite e malattie. 

Senza addentrarsi nei motivi e nei dettagli delle guerre tra Venezia e la Sublime porta è da ricordare un personaggio forlivese che si distinse in modo particolare. Si tratta di Tomaso Serughi, di stirpe antichissima (forse addirittura con radici precedenti all’età classica), la stessa che almeno dal Cinquecento abitava il palazzo di piazza Saffi da tempo sede della Camera di Commercio. Di costui si legge in modo sommario ne “I lustri antichi e moderni della città di Forlì” (1757), qualificato come “condottiere di Fanti, e di corazze”. Figlio “del cavaliere Ghinolfo Serughi, e di Gentile Bruni, appresi ch’ebbe i rudimenti della Milizia, raffinossi in essi colla pratica sotto Casale”. Ben presto, “salito in gran concetto presso la Repubblica Veneta”, meritò “la Piazza di Sebenico nella Dalmazia, che difese da’ Turchi, con perenne sua gloria”. In seguito, venne assoldato dalla Santa Sede per essere “Colonello della Sabina, Governatore dell’Armi dello Stato d’Avignone” e infine “Colonello delle Lance spezzate in Bologna, nella qual carica giunse all’eterno riposo l’anno 1650”. Le “lance spezzate” erano soldati scelti, spesso al servizio di sovrani o personaggi d’alto rango. 

Tali informazioni possono essere integrate da documenti inediti recentemente recuperati tra le carte private della nobiltà Serughi. Un manoscritto del 3 gennaio 1731 e indirizzato ai “Conservatori della libertà ecclesiastica di Forlì” presenta varie “testimoniali” su celebri esponenti dei Serughi, famiglia “anticamente chiamata de’ Xelii” e “una delle più illustri, e qualificate della nostra Città non solo per aver prodotto in ogni tempo uomini segnalati ne’ maneggi di pace, e di guerra, ma anche per esser stata di nobil presenza, e capo della fazione de Guelfi”. Ghinolfo, per esempio, militò “per la Santa Sede, e per l’Augustissima Casa di Austria, e difese con molta sua gloria la terra di Crevalcore dall’impeto delle truppe francesi l’anno 1551”. Per dirla tutta, fu insignito dei privilegi dall’imperatore Carlo V proprio per tale impresa. È  da citare anche un Bartolomeo che nel 1488 custodì Caterina Sforza prigioniera in rocca San Pietro dopo la congiura contro Girolamo Riario: grazie a lui i figli della Tigre non furono consegnati ai rivoltosi.Vi fu poi “un Andrea che segnalossi nel difender Corfù dall’Armi Ottomane, e morì gloriosamente in Germania in una battaglia contro l’eretici l’anno 1556”. E finalmente ecco il nostro Tomaso “condottiere di Fanti, e di cavalli, che nelle guerre di Monferrato e della Dalmazia si rese celebre” giacché “difese con gran valore” Sebenico “da Turchi”. Fu poi “Colonello della Sabina e Governatore dell’armi di Avignone e finalmente mancò di vita l’anno 1656”. Lo stemma gentilizio di Casa Serughi rappresenta “in campo d’oro un’Aquila nera poggiata sopra una fascia turchina, in cui sono espresse tre rose bianche e nella parte inferiore dello scudo un Orso”. 

Ancora più interessante è una dichiarazione di lode al valore dimostrato da Tomaso Serughi da parte del Barone Kristof Martin di Deghenfelt del Sacro Romano Impero, Governatore generale delle Armate Veneziane in Dalmazia e Albania. Egli, con un diploma anch’esso inedito e da poco tempo ritrovato, dichiara scrivendo di sua mano che il forlivese “hà servito” come “Sergente Maggiore delle Truppe Pontificie ausiliarie dell’Armi Venete sotto il Comando dell’Ecc.mo Sig. Marchese Mirogli nella Provincia di Dalmazia”, in particolare “nell’assedio et attacco della Città di Sebenico dall’Armi nemiche dell’Ottomano”. Ha svolto il suo servizio “con tanto valor, Fedeltà, et esperienza militare, che non hà lasciato che desiderare del di lui puntuale, e frutuosissimo impiego dal principio di questa Campagna, sino alla retirata del Nemico, havendo in tutte l’ocorenze che si sono rapresentate adempito quanto s’aspetava dalla sua Carica, come à Soldato d’onore”. Soprattutto, essendosi “attrovato due volte nel forte di San Giovanni con le sudette Truppe di Guardia, mentre il nemico con furiose batterie stringeva la Piazza, non poco giovò alla diffesa di quella il valor, et intrepidezza da lui dimostrata, con tanta nostra sodisfazione, che meritamente ci hà obligati ad attestare con le parti ovunque perveranno la nostra intiera cosolazione, et il di lui merito, e condizioni ben degne, non solo di questa, ma d’altra maggior carica ancora, che perciò saranno le parti sottoscritte di nostra mano, a fermare col nostro proprio sigillo”. La Fortezza di San Giovanni venne costruita rapidamente in quei giorni dai dalmati sotto la supervisione dell’ingegnere genovese Antonio Leni per difendere meglio Sebenico ed era condotta proprio dal Barone di Deghenfelt. 

Tale referenza, particolarmente preziosa per la carriera di un uomo d’armi, fu firmata a Sebenico il 23 ottobre 1647. Qualche mese dopo, nel febbraio successivo, Tomaso Serughi è ancora attestato nella città dalmata, a comandare – da solo – circa seicento uomini: le altre compagnie erano già tornate a Venezia. 

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