Cimici e fiamme

Una suora imprudente causò un disastro nel monastero di Santa Chiara di Forlì. Il 24 giugno 1499 il letto era pieno di insetti

Il portone in corrispondenza dell'ingresso all'antico monastero di Santa Chiara

Qualcuno le aveva detto che per disinfestare un letto dalle cimici il rimedio migliore era il fuoco. Così una monaca di Santa Chiara prese alla lettera il consiglio, causando un guaio che avrebbe provocato danni incalcolabili. Per monastero di Santa Chiara, a Forlì, s’intende un grande spazio di due ettari in cui esisteva un luogo di culto scomparso, situato nell’isolato tra le vie Dandolo, Battuti Rossi ed Enrico Forlanini. Oggi si vede il massiccio muro originale che ne percorre parte del perimetro ed è tagliato da viale Italia. La facciata della chiesa dava in una rientranza nell’angolo tra le vie Dandolo e Battuti Rossi, ove attualmente è l’ingresso di un’area residenziale. Anni fa si era detto che si sarebbe recuperato molto altro rispetto al “parco archeologico” che oggi – con un nome invero un po’ velleitario – mostra scarse tracce del chiostro. Ora si sta costruendo in un’ultima propaggine rimasta libera tra l’alto muraglione che costeggia via Dandolo e il suddetto parco. 

Chi legge, avrà già capito come va a finire questa storia registrata da Andrea Bernardi detto Novacula nel giugno del 1499. Il cronista si premura di eternare il nome dell’indiziata numero uno: suor Dio e Maria Maldenti. In realtà la causa principale della vicenda è da ricercarsi nelle cimici dei letti che avevano infestato il dormitorio del monastero. Di buon animo, dunque, la clarissa pensò di  “brusare le cimise in la sova litera nel so dormentorie”. Il fuoco, in effetti, purifica, disinfetta e di sicuro gli insettini non avranno gradito. Ma i materassi di paglia erano un’ottima miccia, e come si può immaginare “s’aprese dita paglia”, cioè le fiamme attecchirono ben bene. Probabilmente era un rimedio in uso e non aveva fino ad allora causato danni: Novacula ammette che il disastro “mai non se poté provedere”. Era però difficile, a questo punto, arginare l’incendio che “se andò de cella in cella” con la conseguenza che in poco tempo “brusò tute el coperte dal dite dormentorio” che, in lunghezza, misurava circa “22 cadene” (forse, in ampiezza, s’intende poco meno di 300 metri quadrati). Bruciarono dunque “tute li lete” e ogni “mobile et inmobile che lore i aveva” e pure andò in fumo “la mute roba de certe altre nostre cetadine” che avevano lasciato in deposito in monastero fidandosi della buona custodia. Insomma, per contrastare i piccoli parassiti a sei zampe golosi di sangue umano (fastidiosi sì, ma non pericolosi), la suora incauta causò un grandissimo pasticcio. 

Le fiamme arrivarono anche in chiesa se alla fine “ie brusò tute li soi paramenti”, con tanti saluti a “calice e misale” nonché “hogne altre sove erliquie”. Il monastero, infine, cadde vittima di sciacallaggio, visto che “la molta roba” venne prelevata “senza alcune respete” da una folla numerosa. Secondo espressioni comprensibili ai contemporanei di suor Dio e Maria, le “povere sorere” patirono dunque tale disgrazia come “tre male pasque”. Il luogo di culto, che a quel tempo aveva già più di duecento anni, dovette subire un recupero radicale in seguito alla devastazione. 

Oltre all’imprudenza di suor Maldenti, che anche il vento abbia dato una mano al disastro alimentando in modo imprevedibile le fiamme? Sempre Novacula, in altro paragrafo, riferisce che nella seconda metà di giugno del 1499 “se fui cercha 6 zorne de corina acuta, non trope forta, che durò contenuvo zorne e note”, cioè la “corina” spirò continuativamente per sei giorni piuttosto intensamente, cosa che, con altri fattori, avrebbe determinato un aumento dei prezzi dei beni alimentari: “grani et biave” ma soprattutto “carne carisima de ogne rasone”. In seguito venne “grandissima aqua” e “per niente non era pane d’alcuna rasone in piaza”. Ad agosto si diffuse la peste ma questa è un’altra storia.  L’incendio durò per tre ore mandando in rovina buona parte del monastero: era lunedì 24 giugno, e il disastro iniziò a mezzogiorno. 

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