Berengario e i Berengarii

Nell’Alto Medioevo emerge da un lato un Imperatore di origini friulane, dall’altro una famiglia forlivese: stessa stirpe? C’è chi dice no, c’è chi dice sì

Berengario I Re d'Italia e Imperatore tra le colline forlivesi e lo stemma dei Berengarii di Forlì

“Varii personaggi germogliarono da altri rami”: se la cava così, Filippo Guarini, solerte studioso di fasti forlivesi del passato e attento osservatore del suo presente, quando deve collegare Berengario re d’Italia con i Berengari di Forlì. L’incipit può destare smarrimento, in effetti ci si sta addentrando in una selva oscura, quella della Forlì altomedievale.

Per farla breve, l’ultimo esponente della stirpe di Carlo Magno, Carlo il Grosso, fu deposto lasciando vacanti i titoli di Re dei Franchi Occidentali, Re dei Franchi Orientali e Re d’Italia. Tra i contendenti più forti alla successione emerse Berengario I, marchese del Friuli, che pertanto divenne Re d’Italia (888-924) e Imperatore dei Romani (915-924). Sono lande ostiche della storia non solo locale, quindi si scuseranno omissioni o imprecisioni. Da queste parti Berengario fu presente, se è vero che nel 905 concesse ampie donazioni a Bologna per ingraziarsi la città a lui ostile e soprattutto il suo vescovo Pietro. Ma per quello che sarà idealizzato come arcaico eroe dei ghibellini è ancora poco. Berengario il friulano poteva fungere da volano per chiunque, un nobilitatore d’eccezione, così, grazie all’oscurità del periodo, a omonimie che poi si vedranno e a opportunismi politici, ecco la confusione. Se sia la “u” sia la “v” si scrivevano allo stesso modo, tra foroivliensis (friulano) e foroliviensis (forlivese) è davvero a prova di ottico, in documenti antichi, asseverare la distinzione tra “Foro di Livio” e “Foro di Giulio”. Così anche oggi, nel Palazzo Comunale di piazza Saffi spicca un affresco settecentesco del pittore Marchetti raffigurante “Berengario incoronato Re d’Italia dal Papa” come se fosse un concittadino.

Filippo Guarini, nella sua imponente genealogia delle famiglie forlivesi inedita e conservata nei Fondi antichi della Biblioteca comunale Saffi, ha inteso indagare diradando qualche nebbia. Se è vero che poco si sa del fondale degli abissi, altrettanto vero è che della storia antica di Forlì ancora la maggior parte resta da scoprire. Fa sempre bene ricordare che prima del Novecento i forlivesi c’erano già da più di due millenni, e se si pensa ai progenitori di Monte Poggiolo si sfiorano gli ottocentomila anni. Si tenga a mente Monte Poggiolo, perché tornerà utile in questa storia. Qui, infatti, prosperarono i Berengarii, una famiglia antica che ha svolto il ruolo di staffetta tra il caos barbarico e il cosmo degli Ordelaffi. Secondo Guarini, il loro stemma è a “campo nero e fasce bianche” e forse non ricordava che nell’araldica l’argento e il bianco sono rappresentati allo stesso modo, tanto che più correttamente sarebbe “di nero a tre fasce d’argento”.

“Uscirono i Berengarii da chiarissimo lignaggio della bellicosa nazione Longobarda: – asserisce il Conte - tennero la Signoria dei castelli di Belfiore, Ladino, Colmano, (Monte) Poggio(lo) e Castiglione situati sulle colline che coronano dalla parte di mezzogiorno la patria”. Dopo un excursus su alcuni personaggi conclude: “Era la tomba dei Berengari in San Mercuriale; e sopra vi si vedeva scritto l’epitaffio: Semina Berengariorum. Parlano dei Berengarii particolarmente dell’Imperatore di tal nome Leone Cobelli, Sebastiano Menzocchi, e il Padovani nelle loro Cronache, come tutti gli storici e biografi forlivesi nelle numerose loro opere”. Infatti, le fonti che usa Guarini sono per lo più quelle sopra citate, dal momento che – è bene ribadirlo – anche con quel che si sa oggi è pressoché impossibile andare oltre. E il nesso tra Berengarii di Forlì e Berengario del Friuli l’accorto Guarini lo tace, giustificando il tutto con un vago “altri rami” da cui germogliarono “varii personaggi” tutti romagnoli. Aggiunge però, mutuandolo da cronisti antichi, che Berengario avrebbe edificato le mura orientali di Forlì e a sua memoria fu collocata un’iscrizione marmorea sulla “Porta Romana” (per Cobelli è la Porta Liviense) risalente all'anno 909:
DIVVS.BERENGARIVS.IMP.AVG.MOENIA.VALLVMQUE.DOMINVMQUE FOROLIVIO.PATRIAE.PIETISS.DEDI.ANNIS.IMP.
III

Leone Cobelli, nel Quattrocento, riassume scrivendo che Berengario, signore di Monte Poggiolo, Castel Leone (Castiglione) e altri castelli, fu eletto capitano dei forlivesi contro i bolognesi. A successo ottenuto (la conquista per Forlì di un ampio territorio), cedette il comando ad Alloro Ordelaffi, nuovo capitano della Città. Fin qui, tutto possibile. Poi si aggrappa a salti logici importanti e osa: (Berengario da Monte Poggiolo), partito coll’esercito forlivese, “campeggiando” si fa “duca de’ frilani” grazie alla sua “virtù et forza d’arme”. Poi “andò contra romani” e, dopo averli vinti, “prese in sé la corona dell’imperio al tempo di Sergio 3° papa romano, et fu incoronato imperator romano”. A Verona avrebbe poi vinto e fatto accecare Ludovico, figlio di Arnulfo imperatore, per assicurarsi la corona per quattro anni. “Hor hai udito – conclude frettolosamente - como Berengario si fè di Roma imperatore”.

Sigismondo Marchesi, nel Seicento, ricordava che Fazio degli Uberti, nel suo poema didascalico intitolato Dittamondo, scrisse: “Poi Berengieri Forlivese venne, / al quale posi en testa la corona. / Quattro anni poi la governoe, et ritenne; / prode fò en arme, et de alti mestieri, / altrui fè guerra, et molta ne sostenne”. A sostegno dell’origine forlivese di Berengario Re d’Italia associa il parere di “altri Istorici”, tra cui “Domenico Melini nel libro de’ fatti della Contessa Matilde in sentenza di Francesco de Rosieres, il Ghirardacci Bolognese nella tavolà delle sue historie alla lettera F, le Istorie Pompiliesi, i nostri Sebastiano Menzocchi, Alessandro Padovani, et altri”. E aggiunge: “fece Berengario alla sua Patria Forlì molte gratie, e specialmente la regalò de gli habiti imperiali di Lodovico Imperatore, con una sopravesta di broccato d’oro” e “otto stendardi di quelli ch’egli haveva acquistati in battaglia, i quali per memoria appesi nella gran sala, dove si faceva il conciglio”. Che fine hanno fatto queste “gratie”? “Furono lungo tempo conservati fin’al tempo di Martino IV – risponde Marchesi – che depredati da’ soldati, non se ne salvò che un solo da un Prete appeso in una chiesa”.

Che cosa si sa di più dei Berengari di Forlì? Esistono documenti dell’894 che attestano un “Castrum Latini” (cioè Ladino, nei pressi di Vecchiazzano) appartenente a Tiberio Berengari, o “de’ Berengarii”. Si sa inoltre che proprio Monte Poggiolo era un fortilizio dei Berengari, già prima dell’anno Mille: nel 906 ne è citato il conte Berengario. Con ciò si capisce che la stirpe aveva, come già scritto da Guarini, il controllo della prima collina forlivese, territorio strategico da sempre anche con le sue “basse alture” di poco più duecento metri. Altro esponente dei Berengari di Forlì fu Tullio che, nel 1099, festeggiò la presa di Gerusalemme da parte dei crociati con l’assalto di una rocca di legno fabbricata in piazza per l’occasione. Ancora si menziona nel 1321 un Lelio Berengari signore di Castel Latino, Colmano (tra Predappio e Castrocaro), e Poggio che sta per Monte Poggiolo. Poi la prosapia si perde in chissà quali rivoli e scompare. Per moda, nei secoli successivi, permase la moda del nome Berengario, si chiamava così, per esempio, il padre di San Pellegrino Laziosi. Anticamente, su una colonna di San Mercuriale si leggeva un’iscrizione sopra una sepoltura con riferimenti a “Lenia Berengaria”: chissà se anch’ella fosse di tale famiglia.

Il personaggio che però darà forza e nome alla stirpe è Tiberio che, nel lontanissimo IX secolo, diede Ladino in dote a una sua figlia che andò in sposa ad Alloro de Laffia, capostipite degli Ordelaffi. Ed è qui l’origine del qui pro quo. È lui il Berengario che un po’ troppo facilmente Cobelli e gli antichi cronisti confondevano con l’Imperatore. In effetti Berengario duca del Friuli pare che avesse arruolato Alloro (o Lor) de Laffia per riconquistare la guelfa Bologna. Questo Alloro era un capitano di origine germanica o veneta che finì per insediarsi a Forlì per la quale città conquistò Cesena. Un tedesco, o un veneto (come Berengario che era friulano), questo primo Ordelaffi, rese Forlì libero comune (889) o “Repubblica”, e prima città della Romagna di allora, diversa da tutte le altre perché ghibellina. Quest’amicizia in arme d’origine nordorientale produsse dunque Forlì come città moderna e particolarmente bellicosa: Alloro e Berengario, forse conterranei, tanto da dare per scontato che Berengario fosse romagnolo. Fu probabilmente quest’incomprensione storica che diede slancio agli Ordelaffi o furono gli Ordelaffi ad approfittare dell’equivoco.

Se invece, come sostenevano gli antichi, Tiberio Berengarii il forlivese fosse diventato per merito e per fama Berengario duca del Friuli e Imperatore? Chissà, la confusione può far girar la testa e, già che fa caldo, è meglio fermarsi qui.

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