“Morgagnino”: la penna rosa di Forlì

Tullo Morgagni: da un pallone aerostatico a un biplano: quindici anni travolgenti di giornalismo sportivo e grandi idee




Un volo lo fece salire alla fama, un volo lo schiantò a terra nel fiore degli anni. È la vita breve ma intensa di Tullo Morgagni, nato a Forlì nel 1881 e morto nel 1919. Di quest’uomo il cui successo fu determinato dall’ambiente e dalle occasioni proprie di una grande città come Milano (là dov’è sepolto), il ricordo a Forlì è quasi esclusivamente circoscritto al nome dello stadio lungo viale Roma.

“Continuate! Per la Patria, per la civiltà” grida un lacero Morgagni tra i rottami dell’aereo che l’ha condotto alla morte precipitando dai cieli di Verona, così si vede nella copertina de “Il Secolo Illustrato” del 15 agosto 1919 nell’illustrazione firmata da Gino Baldo. In questi giorni di “Giro d’Italia” è ancor più opportuno ricordare questa paternità “rosea”. Il padre Andrea, agente assicuratore, da Forlì aveva sempre più incarichi a Milano e là definì il suo domicilio. Sarà seguito dal resto della famiglia, la moglie Giulitta, maestra elementare, i figli Manlio, Tullo e Irma. I Morgagni erano inseriti nel tessuto anche politico della città, facendo parte dei repubblicani-mazziniani che a fine Ottocento rappresentavano una buona fetta del sentire degli elettori forlivesi.
Nel 1899, dunque, il giovane romagnolo era già a Milano, non avrebbe portato a termine gli studi liceali ma avrà i primi contatti col mondo della stampa. Le occasioni di una grande città come Milano gli aprirono le porte, nemmeno ventenne, della redazione del quotidiano “L’Italia del Popolo” di cui divenne aiuto di cronaca. Come molti della sua generazione amava stare a naso in su a vedere i primi voli, dapprima sgangherati poi sempre più decisi, di aeroplani che si sollevavano da terra nell’Italia che aveva appena fatto ingresso nel Novecento. Il 5 giugno 1904, salendo su un pallone aerostatico, conobbe per aria Eugenio Camillo Costamagna, direttore della “Gazzetta dello Sport”. L’occasione propizia fu dunque la Festa dell’aeronautica di Milano, con quel volo sul “Centauro”, veicolo robusto e capace di condurre ad altezze rilevanti il pilota e due passeggeri. In venti minuti, il pallone si alzò fino a 1400 metri: l’investimento emotivo fu indovinato: con ottime referenze e con determinazione colse l’attimo e venne assunto nel quotidiano sportivo come redattore capo, incarico che rivestirà già a 23 anni. La sua cifra, negli anni precedenti alla Grande Guerra, era quella del giornalista, certamente, ma anche quella dell’ideatore, dell’organizzatore di gare come la “1000 chilometri a squadre” per motociclette già nel giugno del 1904. Poi è sua l’idea della “Gran Fondo”, una competizione ciclistica di 600 chilometri. Il giovane forlivese, brillante e dinamico, con spiccato senso pratico, incontrava favore e successo continuando su quest’onda creativa che lo portò a fondare il “Giro ciclistico di Lombardia” (1905), la “Milano – Sanremo” (1907) e il “Giro d’Italia” (1909). In seguito a un cambio di editore della “Gazzetta dello Sport”, nel 1913 fondò e diresse il quindicinale “Lo Sport Illustrato”, rivista particolarmente curata, con fotografie e copertina a colori. Con lo scoppio della Grande Guerra, col fratello Manlio, anch’egli giornalista, si distinse per servizi dal fronte. Tra gli eroi da lui lodati, anche per il tramite di un premio per il miglior bombardiere, c’era Luigi Ridolfi, concittadino di Forlì. E saranno “Nel Cielo” e “Il Secolo Illustrato” altri periodici da lui diretti, con la precisa volontà di creare, dall’esempio dell’aviazione militare, un’aviazione civile italiana.
Se però il volo nel “Centauro” lo agganciò alla fama e gli consentì il giusto sfogo al suo talento e alla sua creatività, un altro ne spezzò la carriera travolgente. Il 2 agosto 1919, infatti, s’imbarcò in un volo civile Milano-Venezia: pilota era Luigi Ridolfi. L’aereo precipitò nei cieli di Verona: tra i rottami del grande biplano abbattutosi nei pressi di Porta Pallio non c’era alcun superstite.

Per delineare al meglio il suo carattere, la sua persona, è consigliabile ascoltare le dichiarazioni di chi l’ha conosciuto. Dichiarazioni tratte dal già citato numero de “Il Secolo Illustrato” successivo alla sua morte. Per esempio, Vittorio Costa di lui scrisse: “La sua breve vita è stata una serie di incarnazioni sempre migliorate e più elevate”. Inoltre “egli non è morto vittima dell’aviazione o di un nuovo saggio d’aviazione, è caduto per la propria passione, quella della infaticabile ricerca che aveva alimentato tutta la sua nobile vita”. Come giornalista, Morgagni era “irrequieto, insoddisfatto, insaziabile”: “Intuiva e volle capire ogni sport, ne curò la diffusione e il lanciamento, ne organizzò e ne accompagnò personalmente le prove, come affermazione del giornale e anche della personalità che ad esso giovava. Volle essere di tutti I pubblici sportivi, dal podistico all’automobilistico, fu editore di librerie sportive, fu impresario di velodromi. Perché era infaticabile, intraprendente e accaparrante, per quella somma di valori che lasciava tosto divinare e che lo facevano immediatamente accetto e persuasivo”. E, infine: “Tormentava se stesso e le sue creazioni, come un vero artista il proprio spirito e il proprio capolavoro; e questo, a suo parere, non gli riusciva mai. E pensava, sognava continue trasformazioni, che offrissero qualche cosa di nuovo e soprattutto di interessante all’Italia, ma non la perfetta copia straniera”.
Innocenzo Cappa così lo recensì: “Egli era Morgagnino, lo svelto, fiero, appassionato sedicenne, che lasciava il Liceo, impaziente di ogni disciplina tradizionale, per assumersi, da volontario, la strana disciplina del giornalismo politico”. La sua fine “è il destino terribile e naturale in chi ha saputo essere ogni giorno più vivace e più innamorato della vita”. Carlo Frattini ricordava il “giovanetto irrequieto, pieno di sangue bollente, di nervi, di gioia di vivere, d’entusiasmo, di volontà esuberante, d’amori, di collere subito placate” dalla “cordialità romagnola scattante e profondamente sincera” con “occhietti scintillanti da mite faina” e il caratteristico “ciuffo ribelle dei capelli”, capace di “irruente audacia”, “inesauribile fantasia che aveva solo l’apparenza del turbine, ma era ordinata, precisa, volontariamente dominata e severa”. Secondo Francesco Perotti, Tullo “scriveva pagine accese di entusiasmo. Tracciava per le pubblicazioni da lui dirette titoli di intonazione lirica, di una evidenza sicura, di una vivacità gloriosa ed ingenua”. “Aveva quella sua faccia sorridente e ardita, quello sguardo sicuro di chi sa percorrere diritto la propria vita”. Francesco Maria Zandrino ebbe a scrivere: “Con lui, con Tullo Morgagni, io ho più volte, spessissimo trattato d’arte; e il mio affetto per lui s’era per quest’arte fatto bronzeo, chè egli, da quel buono profondamente buono che era, m’aveva a lui legato per l’interesse affettuoso dimostratomi per una arte che se non mia, era di mia famiglia”. Per concludere, “Il Secolo Illustrato”, definita “rivista quindicinale della forza, dell’audacia e dell’energia umana” ne tratteggia il seguente epitaffio: “Volontà tersa e dritta come spada – cuor di fiamma pura alto levato per la grandezza della Patria – caduto per la sua battaglia – il 2 agosto 1919 – nel cielo di Verona”.

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