La mamma di Aurelio

La “provvidenza vivente” del triunviro forlivese: ritratto minimo della donna che avrebbe dato alla luce l’erede del conte Saffi e seguito nelle sue imprese

Villa Saffi a San Varano di Forlì


Maria Romagnoli: questo era il nome della madre di Aurelio Saffi, morta a 59 anni di colera. In occasione della festa della mamma e in un contesto di attualità che fa balzare spesso, nelle pagine locali, la questione del riallestimento di palazzo Romagnoli, ecco due righe su una donna che sicuramente influì sulla formazione e sull’azione politica del triunviro che vigila pensoso sull’omonima piazza.

L’abbiente famiglia di Mariuccia (così era chiamata in casa e dagli amici) aveva forti simpatie napoleoniche tanto che il di lei padre Antonio, giacobino, era uno dei delegati ai Comizi di Lione, occasione in cui il primo console Bonaparte aveva trasformato la Repubblica Cisalpina in Repubblica Italiana, rendendosi egli stesso, su istanza della Consulta, presidente. Era il 1802 e la piccola Mariuccia aveva sì e no sei anni. La madre di Saffi aveva due fratelli, Eugenio, membro della Giovine Italia e Giovanni, detto “Romagnolino”, carbonaro e in seguito primo sindaco di Forlì dopo l’annessione al Regno di Sardegna. Galeotto fu il “Romagnolino”, giacché costui, coetaneo e amico di Piero Maroncelli, avrebbe in qualche modo introdotto il noto cospiratore in casa. Tale frequentazione – non pare un chiacchiericcio postumo – portò Maroncelli a innamorarsi della giovane Maria.

Mariuccia, educata in un collegio di Firenze da cui portò a casa, oltre alla cultura e alla finezza, pure un certo accento toscano, è la “vergin bella, che amore ti prese” descritta in un sonetto da Maroncelli, ma, sempre rivolta a costei, egli ammetterà: “togli il mio voto e le speranze buone”. Infatti, l’amore di lei era diretto al conte Girolamo Saffi che avrebbe sposato il 15 settembre 1818. Casa Saffi (di via Albicini) fu radicalmente rinnovata in quest’occasione: il primogenito Marco Aurelio Saffi nascerà poco più di un anno dopo. Qualche tempo più tardi, in seguito a un tracollo finanziario, sarà costretta a vendere preziosi beni nuziali per soccorrere i figli e, presto vedova, farà altri sacrifici. La casa di via Albicini venne venduta e Aurelio vivrà gli ultimi anni forlivesi soprattutto nella villa di San Varano. Maria Romagnoli ebbe anche una sorte travagliata dopo la morte: la cassa di rame che conteneva la sua salma fu trafugata e se ne trovò qualche spoglia sistemata in modo definitivo anni dopo.

Antonio Mambelli in “Aurelio Saffi e i suoi congiunti”, restituisce un triunviro particolarmente legato alla figura materna: “È nel suo cuore che riversa la piena delle speranze e degli affanni in Roma repubblicana o in esilio; è a lei che confida i motivi per cui fu tratto ad assumere responsabilità di governo in ore tanto gravi” e ancora “è a lei, infine, che traccia nelle lettere un quadro delle condizioni di Roma o d’Europa in brani semplici e talora solenni”. Insomma, una persona fondamentale per la sua formazione e per il suo impegno politico tanto da essere da lui definita “nostra provvidenza vivente”.

Seguendo trepidamente il figlio nelle vicende della Repubblica Romana, Mariuccia gli scrive confidando di essere “oltremodo lieta che le cose di Roma abbiano avuto un esito così felice”. Inoltre, giusto per capire la tempra della reggitrice di casa: “Oh, mi fosse dato poter essere al fianco de’ miei figli per poter dividere seco le gioie, e i dolori; e pormi anch’io al novero di quelle pietose donne a’ cui è permesso porsi accanto al letto di quei generosi che con tanto valore si battono per la libertà e l’onore Italiano, per consolarli, e servirli con amore!”.

Quando poi le cose volsero al peggio per le istanze della Repubblica Romana, rimane ferma nel consolare affettuosamente Aurelio: “Se tu, mio buon figliuolo, mi leggessi qui dentro, vedresti che la madre tua non sente con minor forza di te il dolore per le sventure della nostra povera e misera Italia. Per ora la nostra mala sorte ha voluto così, e bisogna rassegnarvici virtuosamente”. Tuttavia “chi sa non venga giorno in cui splenda una luce più serena per noi”. Con un abbraccio distante e particolarmente tenero, così conclude: “Io vivo con questa speranza in cuore, e prego caldissimamente il Cielo perché non sia delusa. Coraggio, mio carissimo figlio, coraggio. Stà di buon auspicio, e spera con tua madre in un più lieto avvenire”.

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