Una notte da "Leon d'Oro"

Un disguido rende Forlì un ricordo bizzarro per un visitatore di prestigio: San Giovanni Bosco


Chi ha l’occhio buono, alzando lo sguardo all’altezza del civico 57 di corso Garibaldi, troverà una piccola iscrizione su cui si legge: “Ritornando da Roma / S. Giovanni Bosco / padre e maestro ai giovani / qui sostava / all’insegna del Leon d’Oro / il 28 febbraio 1867”. 

Intanto si legge, al contrario di molte altre lapidi affisse ai palazzi forlivesi e che raccontano di personaggi la cui memoria, come l’inchiostro, a via a via va sbiadendo. 
Ebbene, che storia racconta? La facciata elegante dell’edificio sul Borgo Grande, con tanto di balcone ingentilito dal ferro battuto offre il ricordo del passaggio di una figura importante per l’Italia, uno di quei santi sociali di provenienza piemontese che hanno raccolto dalla strada gli ultimi e hanno contribuito a inserirli nella nuova realtà nazionale riaffermandone il profondo senso religioso particolarmente avversato dai ceti più influenti. 

Aveva 51 anni don Giovanni Bosco quando capitò a Forlì e già si può dire che trovò un deserto. Era qui stato invitato dal vescovo Pietro Paolo Trucchi il quale, da Tivoli, nel dicembre del 1857 era salito sulla cattedra di San Mercuriale. Egli era amico del conte Vimercati di cui il prete torinese era ospite a Roma pertanto gli scrisse una lettera d’invito. Da Fermo, dove il fondatore dei salesiani aveva incontrato anche il seminarista Domenico Svampa che sarebbe diventato vescovo di Forlì dopo Trucchi, don Bosco scrisse a Forlì per notificare il suo arrivo. L’inghippo, però, era dietro l’angolo. 

Le Cronache biografiche del venerabile don Giovanni Bosco raccontano nel dettaglio come “partito da Fermo don Bosco giungeva a Forlì alle 11.30 pomeridiane”. Tra freddo e buio, quindi, però poco male: aveva pur sempre inviato la lettera al Vescovo che, carta alla mano, lo avrebbe accolto anche a quell’ora. Giunto in stazione, “presa una carrozza” il futuro santo “si fece portare all’Episcopio” nell’attuale via Solferino, a due passi dal Duomo. Era “certo di essere aspettato” sebbene ancora non si vagheggiasse di ospitalità romagnola; la lettera, dopotutto, era sicuramente stata letta. E invece “trovò le porte e le finestre chiuse”. “Si ebbe un bel bussare, nessuno venne ad aprire e dovette andare all’albergo del Falcone”. Il nome di questa locanda non compare altrove che qui e alcuni storici locali hanno corretto l’agiografo a posteriori. In più, don Giovanni Battista Francesia, segretario di don Bosco con lui nell’avventura forlivese, aveva detto che andarono a dormire in una locanda presso la Cattedrale. Quindi pare – così sostiene don Adamo Pasini – che in realtà si trattasse della locanda detta “Leon d’Oro”, situata appunto al numero 57 di corso Garibaldi. In effetti, in quel 1867 l’unica locanda con alloggio vicina al Duomo era, appunto, il “Leon d’Oro” che ha chiuso circa un secolo dopo rispetto all’avvenimento. Vero è che in questo albergo “fu accolto con ogni cortesia” e “dando don Francesia scherzevolmente il titolo di eccellenza a don Bosco, i camerieri si credettero di aver da fare con un prelato”. 

Passò dunque la notte bizzarra e, con don Francesia, don Bosco si recò al santuario della Madonna del Fuoco dentro la Cattedrale forlivese “ove avvenne la conversione del Beato Pellegrino Laziosi” (anacronismo di Lemoyne: San Pellegrino visse molto prima del Miracolo del 4 febbraio). Qui “chiesero di poter celebrare”. Erano però due illustri sconosciuti agli occhi del sacrestano che gli chiese prontamente: “Avete le carte?”. Forse sorridendo, don Francesia rispose: “Questi è don Bosco!”. Il sacrestano del Duomo di Forlì, incredulo, volle una conferma: “Don Bosco di Torino?”. Al “Proprio lui!” si precipitò a preparare dei paramenti sontuosi: “tirò fuori una delle più belle pianete, già adoperata da Pio VII”. Così, don Bosco celebrò messa all’altare della Madonna del Fuoco. 
“Dopo aver celebrato, si recarono a far visita al Vescovo, il quale solo in quella mattina aveva ricevuta la lettera di avviso. Con ogni urbanità e festa accolse il caro ospite, s'intrattenne molto tempo con lui”.
Alle 11 “lo fece assidere a un lautissimo pranzo di magro, improvvisato” ma don Bosco “non mangiò, perché era solito pranzare al tocco”, cioè velocemente. Alle 13.30 lasciò Forlì, città che sicuramente avrà ricordato anche per l’accoglienza davvero originale. 

Il 31 gennaio scorso, nel corso della celebrazione liturgica in onore del Santo, il vescovo Livio Corazza ha indossato i paramenti sacri e il calice usato da don Bosco in quell’occasione. Oltre all’iscrizione di corso Garibaldi, una targa nella sacrestia della cappella della Madonna del Fuoco ricorda questo passaggio e, sempre a Forlì, è conservato lo stendardo originale usato in piazza San Pietro il giorno di Pasqua del 1934, quando – novant’anni fa - Giovanni Bosco fu proclamato Santo. Sua eredità più evidente da queste parti è pur sempre la presenza salesiana a Forlì fin dal 1942. 

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