Forlivesi a Mentana

Appunti sul diario di un garibaldino forlivese che a vent’anni condivise con altri concittadini i fatti dell’autunno del 1867

Il campo di battaglia di Monterotondo nel 1867 e la lapide affissa nel voltone del Municipio di Forlì

Il 3 novembre 1867, circa cinquemila garibaldini si scontrarono a Mentana contro l’esercito franco-pontificio. Non era ancora il tempo dell’annessione di Roma al Regno d’Italia e Garibaldi dovette arrendersi dopo aver lasciato sul campo 370 dei suoi. Tra le vittime c’erano quattro forlivesi: Oreste Basini, Pietro Gualaguini, Oreste Severi e Achille Cantoni. Quest’ultimo, definito da Garibaldi “figlio prediletto delle Romagne” era nato a Forlì il 13 agosto 1835. Sarebbe stato lo stesso forlivese a salvare la vita nel 1849 all’eroe dei due mondi che gli avrebbe dedicato il romanzo “Cantoni il volontario”. Egli era dunque una celebrità per la borghesia risorgimentale e il suo nome fu cantato per molti anni dopo la sua morte. 

Tra i suoi amici e seguaci c’era un altro forlivese di undici anni più giovane, Tito Pasqui, volontario che fece parte del X Battaglione – 1° Compagnia “operante nell’Agro Romano nella Campagna di guerra contro il Papa-Re in qualità di Sergente”, come si legge in un documento conservato nei Fondi antichi della Biblioteca comunale “Saffi”. Nella stessa miniera di storie si può sfogliare anche un diario di questa spedizione, vergato dallo stesso ventenne di Forlì. Le annotazioni rimangono abbozzate, scritte in diretta pertanto abbondano abbreviazioni, puntini, la scrittura è veloce e non sono concessi fronzoli nè patetismi. Però, tra queste righe, si può condividere la spedizione dei forlivesi a Mentana, tra l’iniziale entusiasmo e il ritorno mesto. Fanno capolino nomi noti a chi ha studiato l’Ottocento locale: Eugenio Valzania, Oreste Regnoli, Quirico Filopanti, Alessandro Fortis su tutti, e pure altre figure che i più curiosi vorranno approfondire. Si possono inoltre cercare su mappe, cartacee o digitali, le località toccate dai volontari romagnoli ed entrare in modo più efficace nella storia. 

Il 16 ottobre 1867 la partenza da Forlì era fissata alle 5 del mattino. Il “fiaccherajo” (vetturino) Mandolesi, “detto Tri-Valun” era diretto a Forlimpopoli mentre il sacco delle armi venne riempito di paglia “presso un contadino a destra fuori della porta di Forlimpopoli”. Da qui, il viaggio proseguì per Ancona “insieme con Barbiani e Umiltà” presumibilmente in treno, ove si arrivò alle 2.33 del pomeriggio. Qui si pernottava e “Nino Ravajoli fu cortesissimo”, in questa circostanza “ci unimmo a Gaudenzi e Panciatichi”. Il giorno successivo, il 17, la compagnia era già a Terni da cui sarebbe partita l’indomani. Le tappe successive toccarono Calvi dell’Umbria (“pioggia dirotta” il 19 ottobre), Cantalupo in Sabina e Montebuono ove si registrarono “gentilezze del Sindaco”. Nel frattempo, Giuseppe Garibaldi aveva assunto ufficialmente il comando di questa spedizione. Il 21 ottobre la “pioggia continua” e fu l’occasione di “sosta e compra del tacchino a San Valentino presso Poggio Mirteto”. Poco distante, a Bocchignano, i forlivesi passavano la notte. 

La tappa del giorno successivo andava “da Bocchignano verso il confine” e venne notato il “ponte fatto costruire da Sisto V sul Farfa”. Accadde qui l’incontro “col bersagliere Zanuccoli” e si registrava una “fermata a Coltodino”. Il 23 ottobre fu il giorno del “passaggio del confine”, una “lunga marcia fino a sera con l’acqua” e seguì una “sosta presso la stazione provvisoria di Corese”. 
Il 24 ottobre erano diretti verso Monterotondo ove in un “accampamento presso una cascina” incontrarono alcuni bersaglieri tra cui “Piselli”. Il giorno seguente si trovavano “sotto Monte Rotondo”. Qui si verificò un “distacco dalla Compagnia per quelli armati di carabina”. S’avvertivano spari: “Son papalini o pastori?” domandò Caldesi a Valzania “che aveva buon canocchiale”. Si capì ben presto che si trattava di “papalini” e Valzania “dirige i nostri colpi verso le finestre donde tiravano”. Già che c’erano, fu pure l’occasione di una “lezione del sergente Filopanti sui tiri” e alla sera si tenne una rimpatriata di forlivesi, Fortis compreso. Qui Tito Pasqui commentava: “ho fame”. 
Di notte, alle 23, divampò un “incendio della porta con sacchetti di zolfo per le viti, fascine e petrolio”. Così, alle 2 del mattino la compagnia entrava nel paese (di Monterotondo) “attraverso le fiamme”, seguiva un “assalto” e il “tragico episodio del prete fuciliere”. Si trascrisse, senz’altro aggiungere: “Marani. Ufficiale dei Mille. Compagnia del Friulano Ciotti”. Il 27 ottobre il gruppo si unì alla Colonna Cantoni: “Partenza a mezzodì da Monte Rotondo. Sosta ad una cascina ove arrivò Garibaldi. Verso sera partenza. Pioggia continua la notte nel bivacco presso il Quartier Generale a Forno Nuovo”. Da qui a Mentana c’erano meno di cinque chilometri. 

Il risveglio del 28 ottobre ebbe sapore amaro: “all’alba furto della carabina”, così la compagnia riprese il cammino fermandosi poi per una sosta alla Marcigliana. Nei giorni successivi i forlivesi erano vicinissimi alla Capitale, il 30 arrivarono “in una collina in vista di Roma a Castel Giubileo”, cioè a circa 15 km da piazza San Pietro. Forse si erano spinti un po’ troppo in là se alle 2 di notte indietreggiarono con “marcia retrograda” tornando alla stazione di Monterotondo. E l’entusiasmo era destinato a scemare.
Così il 31 ottobre: “Fermi sempre alla Stazione. Confusione. Disordine: mistero! Distacco dei Perugini, due compagnie de la nostra colonna…”. Il 1° novembre arrivò Oreste Regnoli, il giorno dopo “Corte e Lineo” mentre si organizzava una “gita a Mentana per diporto”. Troppa sicurezza oppure ci si concesse quest’ultimo svago perché era sempre più chiaro che la spedizione stava trasformandosi in una disfatta?

Il 3 novembre si partì alle 13 “da la stazione di Monte Rotondo in marcia verso Tivoli” però, “alla sinistra altura di Monte Rotondo” cominciava “per la nostra colonna il combattimento”. Se n’erano andati “alcuni nostri compagni dissidenti e sfiduciati”, ben presto vi fu un “loro ritorno” ma la “lotta è accanita”. Il compilatore del diario si lamentava del “cattivo fucile della Guardia Nazionale”. La prima Compagnia, comandata da “Aless. Monti (sergente Gaudenzi) sale a sinistra sovra un altro colle” mentre il resto della Colonna “fra cui la 2 Compagnia comandata da Sesto Pasini (io sottotenente) con Cantoni e Fortis volge a destra verso Mentana”. 

Achille Cantoni pronunciò le parole: “Sandrin, vado a vedere che fa la prima Compagnia” dove “Sandrin” è Alessandro Fortis. Ma “nessuno più lo vide”. Verso sera iniziava la ritirata, con “salita ai Cappuccini con Fratti, Barbiani Livio, Ugolini, Sostegni, Sansovini, Panciatichi e Foschini”. La battaglia era persa: “ritirata generale a Monte Rotondo. Consiglio di Guerra. Partenza verso mezzanotte per Passo Corese”. A Corese, all’alba del 4 novembre, fu tempo del “nostro disarmo”, ciò avvenne “con dolore affettuoso” da parte del colonnello Casarà dei Granatieri, “presso il ponte”. Qualche ora dopo, alle 8.30, “con Fortis, Monti e il mio maggiore Nodari di Verona” ci si dedicava a una “gita alla cascata delle Marmore”. Una sosta a Terni era ciò che da tempo il giovane sergente aspettava: “indicibile fame saziata”. Il 5 novembre, sempre a Terni, non si sapeva ancora nulla “di Cantoni, Gaudenzi ed altri amici”, “vane ricerche”. C’era poco da fare, il 6 novembre “con Serughi e Palmeggiani si riparte per Forlì, ove si giunse all’una pomeridiana”. 


Commenti