Gli esercizi di Mercuriale

Medicina e Ginnastica, la sintesi è forlivese. Un breve resoconto dell’opera di un grande dottore nato e sepolto sotto l’Abbazia della grande piazza


Fu medico personale di alcuni Papi, di Massimiliano II di Asburgo, del Granduca di Toscana, giusto qualche dato da curriculum, eppure nessun padiglione dell’ospedale forlivese porta il nome di questo dottore. Si parla di uno dei tanti non profeti in Patria: Girolamo Mercuriale (o Mercuriali), nato a Forlì il 30 settembre del 1530. Nonostante i natali provinciali (e nella città che meno si vanta di se stessa e dei suoi figli) fece parlare di sé nel mondo allora conosciuto. Come molti sanno, applicò per primo l’adagio antico: “mens sana in corpore sano” quale fondatore della ginnastica moderna, della fisioterapia e della medicina sportiva, risultando pertanto crasi perfetta tra classico e contemporaneo.

Fu uno dei numerosi medici di origini forlivesi che seppero dar lustro al proprio nome e individuare strade nuove, coniugando antichi saperi medievali con le più recenti tendenze umanistiche del Rinascimento. Si occupò anche di pediatria quando nei fatti non esisteva, azzardando teorie interessanti. Per esempio era convinto che agli infanti si sarebbe dovuto parlare come se fossero stati adulti perché solo così avrebbero imparato a parlare correttamente, senza passare dalle paroline e dai vezzeggiativi che sembrano indispensabili quando ci si rivolge a chi dice a malapena “mamma”. Si interessò pure di igiene, epidemiologia, ginecologia, puericultura, oculistica, dermatologia, tossicologia, otorinolaringoiatria e storia della medicina risultando abile mediatore tra i vari campioni delle diverse discipline. La sua biblioteca contava circa milleduecento libri, sicuramente consultati. 

Giovanni Chiapparini, in un suo sonetto pubblicato come “medaglione” nel 1969, ebbe a scriverne: “Progenie triste, ignava ed avvilita! / Ma tu le davi, e il dono non fu vano, / il senso bello, eroico della vita”. Questo “senso” riguarda la cura del corpo inteso come “ginnico diletto”, una sorta di neoclassicismo muscolare e fisiologico. Sarà per questo suo stile particolare che venne chiamato come consulente presso varie corti italiane e di Francia, pure Torquato Tasso si rivolgeva a lui. In effetti, il suo testo più famoso era intitolato “De Arte Gymnastica”, stampata più volte, pubblicata in varie lingue, illustrata con preziose xilografie. Ribadiva, tra le righe, un concetto antico: l’esercizio fisico è un mezzo per ristabilire e conservare la salute e l’integrità del corpo. In più è pure un manuale pratico: descrive varie forme di fatiche ginniche, con modi e tempi, ma anche suggerisce come piangere, ridere ed esprimere emozioni in modo terapeutico. 
“Stupore del suo secolo” così è definito ne “I lustri antichi e moderni della Città di Forlì” (1757) dove peraltro si legge che a Vienna ottenne “i titoli di Conte, e di Cavaliere, con facoltà di legitimar Bastardi, di crear Dottori in Medicina, e Notari”. Nell’anno 1600, anziano e venerato, il successore forlivese di Galeno raggiunse il “colmo dell’eccellenza” coronando una carriera lunga e opulenta. 

Privo di boria, i contemporanei hanno ritratto il grande medico di Forlì come modesto e generoso nonostante gli anni di studio tra Venezia e soprattutto Padova. Grande viaggiatore, ebbe tra le mani documenti antichi, archivi di suoi illustri antecessori, ne fece sintesi reinterpretandoli secondo le esigenze del tempo, distinguendosi pure in un’ottima padronanza del greco classico. Suo grande protettore fu il cardinale Alessandro Farnese, dal momento che nel 1561 era giunto a Roma alla corte di Pio IV. Otto anni dopo sarebbe nato il suo massimo capolavoro, citato qualche riga sopra, grazie al quale divenne insegnante di medicina pratica a Padova dove rimase per quasi vent’anni godendo di fama e successo. Fece anche scivoloni gravi, certo, come quando sconsigliò accorgimenti per arginare l’epidemia di peste (da lui non riconosciuta come tale) che stava falcidiando Venezia tra il 1575 e il 1576. Risultato? 50 mila morti su 180 mila abitanti. Tuttavia seppe ristabilire la propria fama affermando che quando gli era stato chiesto il consulto l’epidemia ancora non c’era, essendosi secondo lui sviluppata solo in un secondo momento.  

Nel 1587 fu chiamato a Bologna a insegnare medicina teorica per ben 1220 scudi d’oro all’anno, una cifra che allora non guadagnava nessuno dei suoi colleghi. Cinque anni dopo si trasferì a Pisa, e il suo compenso toccò i duemila scudi d’oro. A fine carriera, nel 1606, tornò a Forlì dove morì nello stesso anno, a novembre. Anche negli anni della sua lontananza si curò anche della sua città, contribuendo con le sue cospicue costanze a diverse opere come, per esempio, importanti lavori nella chiesa di Sant’Agostino. Se ciò ora non è più visibile, in San Mercuriale fa bella mostra la ricca cappella Mercuriali in San Mercuriale, dov’è sepolto. E pensare che c’era chi non voleva che a Forlì si insediasse la facoltà di Medicina! Nel frattempo, però, tra “Buon Vivere” e Museo della Ginnastica (in attesa), almeno parte dello spirito del grande concittadino – quasi inconsciamente - si respira ancora da queste parti. 


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