Agosto col conte Lando

Un feroce condottiero combatte per Forlì al fianco di Francesco II Ordelaffi. Un assedio doloroso e costoso: mancarono i soldi, non l’onore

La rocchetta San Pietro e il conte Lando con le sue insegne


Leone Cobelli, scrivendo dell’agosto del 1358, informa che: “El conte Lando ussì fori de Forlivio per la porta de San Piero e andò a trovare la gente del vice Ligato al Ronco”. Che cosa sta succedendo? Chi è il conte Lando?

È il temutissimo Corrado di Landau, condottiero e mercenario svevo, famoso per le devastazioni che causava dove passava, protagonista di tre caldissime estati romagnole. Con lui c’era la sua Compagnia, cioè circa seimila cavalieri corazzati e migliaia di fanti tedeschi. Forlì era in quel momento una bolla dentro uno Stato pontificio rattoppato per conto dei Papi di Avignone, resa olio nell’acqua da Francesco II Ordelaffi. Nell’estate del 1356 era stato coinvolto più che altro in azioni riguardanti la parte cesenate della Signoria di Forlì e fu davvero una spina nel fianco del cardinale Albornoz. Nel febbraio del 1357, il porporato era stato sostituito dal vicelegato Androino de la Roche, abate di Cluny. Il Papa probabilmente che la Romagna ormai fosse stata sedata, in effetti poteva sembrare così in parte, e l’eccezione era data da Forlì che, con Francesco II Ordelaffi, non aveva nessuna intenzione di darsi per vinta. Non che fosse il male assoluto, l’Albornoz, perché si sarebbe dimostrato a tutti gli effetti un abile e capace amministratore. Ma l’autonomia, in una Forlì dall’irriconoscibile fierezza, aveva altro valore. Fece altra impressione – e in effetti la stoffa era di minor pregio – il vicelegato de la Roche: uomo ricco, potente ma non certo esperto di cavalli e cavalieri. L’assedio, dunque, sarebbe stato lungo e inevitabile. 

Il conte Lando sarà di nuovo a Forlì il 12 luglio 1357 e si acquartierò al Ronco con quattromila cavalli e milleseicento tra fanti e balestrieri, un numero così elevato di persone poi avrebbe portato saccheggio e soprusi nelle campagne. Qui ricevette la scomunica da papa Innocenzo VI come alleato dell’Ordelaffi con cui costringerà gli assedianti a riparare a Faenza. Ben presto tornerà a dare sfogo alle sue feroci competenze belliche, in appena due ore fece duecento prigionieri tra i soldati del vicelegato tra Bertinoro e Forlimpopoli. Dopo ciò, insuperbitosi, osò lanciare la sfida a tutto l’esercito della Chiesa. Il cardinale Albornoz temporeggiò prudente e sagace; il resto dell’estate passò relativamente tranquillo, tuttavia il conte Lando era un pericolo e, visti i precedenti, occorreva estirparlo il prima possibile. La via più facile era quella del soldo, si trattava pur sempre di un mercenario e sul campo era imbattibile. Così i forlivesi convissero con un poderoso esercito nemico attorno alle mura per tutto il lungo inverno. 

Nella primavera del 1358, l’abate di Cluny aveva ripreso l’assedio alla Città promettendo ai forlivesi che ne fossero usciti indulgenza e perdono. Rimase però uno zoccolo duro che accettò l’ipotesi del martirio pur di non dare soddisfazione al borgognone. A maggio sorsero due fortificazioni provvisorie (dette anche bastìe): una tra Forlì e Faenza, l’altra a ridosso del ponte sul Ronco, i confini della città assediata. Sui lati era disposto l’esercito. Ancora una volta Forlì si rivelò una trappola: le truppe pontificie rimediarono figuracce e le incursioni portarono vittime, prigionieri, fuggi fuggi, e pare pure che i forlivesi “sciolti” non lesinassero dallo scendere in campo e dare mazzate. Però, a fine luglio, con maneggi e corruttele, Meldola cadde in mani pontificie e la morsa intorno a Forlì era sempre più stretta. Negli stessi giorni, il conte Lando, in quel momento al servizio di Milano, prese una batosta inaspettata dalla popolazione dell’Appennino faentino, tradito dai fiorentini registrò una sconfitta cocente. Ferito, venne a sapere che i toscani erano andati a Forlì a combattere per il vicelegato e così, ricordando il torto, si recò anch’egli a Forlì per contrastarli. Dapprima s'impadronì di Massa Lombarda, poi entrò nella città ordelaffa. Quando il conte Lando passò da queste parti era un po’ dimesso, scornato da una batosta appena ricevuta ma col ghigno del riscatto. 

Francesco II Ordelaffi lo pagò ben 15 mila fiorini sicché di nuovo prestasse servizio per la sua città le cui casse certamente non erano inesauribili, anzi, sempre più liviensi mugugnavano: stanchi dell’assedio perpetuo, dei continui sacrifici, del perenne clima di guerra sempre sulla difensiva, con la chiara consapevolezza che tanto, prima o poi, la resa sarebbe avvenuta. Nel giro di poco erano cadute tutte le città vicine e là il nuovo governo non sembrava nemmeno così male. L’idillio con Francesco II, Signore di Forlì da oltre venticinque anni, si stava esaurendo in una quasi naturale consunzione. Fu giusto il conte Lando a ringalluzzire gli irriducibili anche perché solo il suo nome incuteva soggezione. Infatti, in quel giorno d’agosto del 1358, uscito da Porta San Pietro si diresse verso il Ronco “e illì si comenciò uno gran facto d’arme” tanto che il vicelegato dovette ripiegare al di là del fiume. Arrivarono i rinforzi per l’abate di Cluny ma fu una disfatta: i forlivesi riebbero la bastia del Ronco e sul campo rimasero duecento morti, senza contare i “molti homini guasti”. 

Il successo si sarebbe replicato qualche settimana più tardi, questa volta “tra San Bartolo e Villanova”. Le voci dei forlivesi con Francesco II e il conte Lando “andavano al cielo”, gridando: “Hordelaffo Hordelaffo”. Ne sortì, dopo diverse scaramucce, “un gran facto d’arme” e anche in questo caso “molta gente si occideva e moriva”. Ancora i “chiesastici” dell’abate di Cluny, affiancati da Galeotto “l’Ungaro” Malatesta, furono sconfitti e si dovettero accontentare di rimanere a Cosina e a Oriolo. Proseguì le sue azioni verso Savignano e Gatteo e col bottino di esse riuscì a rifornire Forlì. Il Papa, imbarazzato da queste disfatte, rimosse l’abate di Cluny e ridiede l’incarico al cardinale Albornoz: Forlì doveva darsi una calmata e solo lui avrebbe potuto ammansirla, con le buone o con le cattive. Per prima cosa, però, si doveva trovare il modo di mandar via il feroce Corrado di Landau, e così Malatesta “l’Ungaro”, consigliò di agire all’Albornoz: “O monsignore, non guardate a denari, mandate al conte Lando che voi gli darete denari e quello lui vorà, puroché lui si levi dentro de Forlivio: e questo io ve dico certo, che, se ‘l conte Lando se parte, voi d’altro canto arite la cità di Forlivio”. Il Cardinale, ben più capace e scaltro del Vicelegato, suggerì al suo interlocutore di far recapitare al conte Lando “secretamente” una lettera, affinché mandasse “la carta bianca” per chiedere “quello vole, puroché se parti de Forlivio”. Infatti sapeva bene che “Francesco non ha denari da dargli”. Insomma, la trama ebbe il suo sviluppo, le casse di Forlì erano vuote, i forlivesi stanchi, i soldati della Grande Compagnia di Landau ormai senza vettovaglie.

Il conte Lando aveva “la spata per el manico” quindi a lui spettava la decisione sul da farsi. Si recò da Francesco II e gli confidò: “la mia Compagnia si lamenta, e dice che li miei homini d’arme che si morino di fame”, “io non vorìa perdere questa Compagnia, che è il fiore de la gente d’arme d’Italia”. Il Signore di Forlì “addolorato” rispose: “O conte Lando, io te ringracio, avite fatto assai per me. Io non mi trovo più dinari, tutti l’ho spise in questa mia necessità: non so che più me fare”. Stupisce, per un professionista delle armi feroce e attaccato al denaro come Corrado di Landau, trovare in lui un cenno di affetto, di amicizia nei confronti dell’Ordelaffi: “O misser Francesco, io voglio cercare acordo con lo Ligato: e crediate questo, che mai non serìa io contro misser Francesco, ma in tutto alturio e favore”. Il condottiero lasciò la città nel febbraio del 1359 passando da Porta Cotogni, la Grande Compagnia levò le tende e Forlì seppe resistere qualche mese. Parafrasando altri eventi storici: mancarono i soldi, non l’onore.

Il 4 luglio 1359, il cardinale Albornoz avrebbe preso possesso della città di San Mercuriale e si sarebbe insediato nell’attuale Municipio, già palazzo Ordelaffi, rendendo la città dell’ormai esiliato Francesco II il capoluogo della sua riconquista: presa Forlì, la Romagna era ormai una normale regione dello Stato Pontificio. 

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