Pino I e i suoi fratelli

La “solidarietà di interessi” dei figli di Tebaldo Ordelaffi: ritratto sommario di una generazione alla conquista del potere

Il palazzo comunale di Bertinoro e lo stemma degli Ordelaffi

Dei mai troppo noti Ordelaffi c’è un’intera galleria di figure di cui si può tentare a malapena la ricomposizione di un ritratto. Tra costoro si mira ad abbozzare qualcosa su Pino il primo. Di lui, figlio di Tebaldo, si sa poco – nemmeno il nome della madre - tuttavia ogni tanto fa capolino nella storia. Sicuramente come si suol dire “floruit”, cioè fiorì, nel Trecento. Infatti ricorre nelle cronache dal 1296 al 1317. A questo Pino fu attribuito l’ordinale “I” sebbene non sia, come il “II” e il “III” – almeno nella forma – Signore di Forlì. È dunque il primo perché appartenente alla prima generazione di Ordelaffi stabilmente al potere. Il nome diminutivo forse è dovuto al suo essere cadetto e, se la considerazione può avere un qualche pregio, nessuno degli omonimi della stirpe sarà primogenito. Gli eruditi direbbero che il nome è ipocoristico per Filippo, o Iacopo più che per Giuseppe, se è vero che uno dei fratelli di questo Pino si chiamava Peppo. L’anno di morte resta un mistero mentre si può presumere registrarne la nascita all'incirca nel 1270. Prima del Trecento, in verità, di quest’uomo altro non si conosce se non la citazione del suo nome: il 26 aprile 1296 risulta tra i condannati dal vescovo Guglielmo Durante, rettore di Romagna. Nel 1297 sarà verbalizzata per lui un’altra sanzione per conto di Massimo da Piperno. Se non fosse stato per tali provvedimenti penali il suo ricordo sarebbe stato perduto per sempre. Oppure no? Le condanne di cui si tratta sono politiche, proprie di un ceto in ascesa e in contrasto con lo status quo, cioè il potere temporale del pontificato. 

In effetti, nonostante iniziali e prevedibili ostacoli, i figli di Tebaldo avevano saputo creare tra fratelli una “comunione di potere” o “solidarietà di interessi” (per usare espressioni di Francesco Luigi Ravaglia). Il Trecento forlivese iniziava così, con l'affermazione di un organigramma verdeoro (i colori Ordelaffi), una spartizione ben chiara determinata dall'ascesa abiziosa e condivisa agli scranni romagnoli. Il gioco di squadra dei leoncini rampanti avrebbe giovato non solo in relazione ai rapporti conflittuali col papato ma anche per dirimere dinamiche interne fisse in equilibrio quasi ingessato tra le grandi famiglie forlivesi: i Calboli, gli Orgogliosi e gli Ordelaffi. Nessuna di queste stirpi aveva saputo fino ad allora prevalere in modo duraturo sulle altre, a cavallo tra Due e Trecento questi ultimi seppero imporsi in modo pressoché definitivo. Così il primogenito Scarpetta divenne il primo Signore di Forlì: quello che ha ospitato Dante, per intendersi. Dopo la morte senza eredi di Maghinardo Pagani da Susinana era riuscito ad affermare la propria egemonia tanto che venne riconosciuto come capo dei ghibellini romagnoli e toscani.

Morto lui nel 1317, il titolo passò a suo fratello Cecco. Un altro fratello, Sinibaldo, fu “difensore della città di Faenza” mentre Peppo, arciprete di San Martino in Strada, venne acclamato dai forlimpopolesi come loro vescovo ma al Papa, una volta letto il curriculum della famiglia, non sembrò il caso di confermare. I fratelli Ordelaffi erano diventati il punto di riferimento delle forze antipapali e saranno loro al potere quando, nel 1302, il beato Rinaldo da Concorezzo, vicario di Romagna per Carlo di Valois, una volta giunto a Forlì fu aggredito (quasi ammazzato) e messo in fuga da un tumulto popolare. È plausibile che sia stato fatto ben poco per evitare il fatto gravissimo. Ma se Bonifacio VIII era poco gradito ai ghibellini, peggio andò poi, con la serie di papi francesi cari alla corona gigliata

E Pino? Era probabilmente il secondogenito di Tebaldo, nato dopo Scarpetta e prima di Cecco; a lui andò un titolo che ricoprì per qualche anno lasciando però una traccia in piedi tutt’ora. Il 6 giugno 1306, infatti, gli Ordelaffi cacciarono i Calboli da Bertinoro e se ne impossessarono. Così Pino il primo diventava Signore di Bertinoro. Inutile aggiungere che altre informazioni sono andate perdute ma ciò che resta è visibile: il palazzo comunale di Bertinoro, benché “anticato” meno di cent’anni fa, risalirebbe alla volontà di Pino I ed è l’unico segno tangibile degli Ordelaffi della sua generazione che abbia raggiunto questo secolo. Il potenziamento delle difese del colle e dell’insediamento del palazzo signorile era la risposta alle continue insidie del guelfo Alberguccio Mainardi, bramoso di soffiare il posto all’Ordelaffi. Pino riuscì quindi a difendere la propria signoria dagli attacchi dei Malatesta che avevano tentato senza successo di conquistare il castello. 

Tutto questo, però, durerà poco. Nel 1310, papa Clemente V aveva nominato re Roberto d’Angiò come suo vicario in Romagna. A sua volta, quest’ultimo inviò come suo luogotenente Niccolò Caracciolo che pose la sua residenza nella rocca di Castrocaro. Costui era un buon uomo, capace e perfino ai più pervicaci ghibellini aveva fatto una bella impressione, tanto che nel novembre dello stesso anno Scarpetta Ordelaffi gli consegnò ogni suo potere. Era un atto di cortesia che però avrebbe avuto conseguenze anche su Pino ed egli ben presto lasciò Bertinoro. Fu una questione di mesi e Caracciolo uscì di scena, il clima tra guelfi e ghibellini tornò ad accendersi e venne indicato come nuovo conte di Romagna il terribile Gilberto di Santiglia. Il cambio di gestione fu drammatico: tra l’8 luglio e il 1° agosto 1311 vennero arrestati Scarpetta, Pino e Bartolomeo (nipote) Ordelaffi, quindi rinchiusi nella fortezza di Castrocaro. Si sa che fu una lunga detenzione: vennero liberati il 20 maggio 1317 grazie all’intervento di Anfuso o Alfonso di Vadio, pacato successore di Gilberto di Santiglia. Non si ha notizia di ciò che accadde poi a Pino, né se abbia avuto discendenti. Continuerà la dinastia Sinibaldo e il di lui figlio Francesco II il Grande. Gli Ordelaffi delle generazioni successive, come altre famiglie romagnole, confermeranno il sistema del potere condiviso, fino a quando uno dei fratelli avrà prevalso sull’altro con le buone o con le cattive maniere.

Commenti