Digressioni sul nome tanto facile quanto oscuro di un quartiere di Forlì, la campagna che lambisce il centro storico
La città, qui, non ha urbanizzato in modo massiccio come è avvenuto per altre tracimazioni oltre le mura. Rimane pertanto la suggestione di una “pianta” in mezzo al verde e l’origine del nome può far venire in mente un’assonanza con la Rovere, o Carpinello, altre frazioni tratte da vegetali. La Pianta, appunto, si presenta come un quartiere rurale con le vie dai nomi coloniali o delle battaglie della Grande Guerra, supera il fronte dell’Eridania fino a inoltrarsi su terreni preservati dalla foga costruttiva, nascosti dietro i pini di via Ravegnana per poi perdersi nella ripetizione di campi coltivati fedeli nei secoli appena sporcati da un numero non eccessivo di capannoni artigianali. Ha di recente – sorte seguita da un bel po’ di luoghi della tradizione – perso lo status di “quartiere”, confluendo in altri. Si spera che questa scelta non comporti la perdita dei nomi antichi, nomi che si ripetono da generazioni e che perciò sono portatori di storia.
Se si prende per vera la radice (è proprio il caso di dirlo) afferente a – che so – un albero di una certa importanza, segnacolo per confine, ecco servita la storia di un’antichissima quercia abbattuta nel 1880: così giura Ettore Casadei nella sua pur sempre autorevole Guida del 1928. Non sarà certo uno dei tigli che ombreggia la chiesa imitante un Rinascimento georgico, però accanto a quest'ipotesi se ne aggiunge un’altra. Si narra di un prodigio: un uomo, armeggiando su albero forse per lavoro, incappò in un ostacolo e cadde rimanendo però illeso. Un evento eccezionale per intervento della Beata Vergine, invocata con tanta fede dal miracolato. Per meglio dire, l'irruzione dello straordinario nell'ordinario avrebbe stupito tanto da mutare il nome e consolidarlo nel tempo. Così ecco Santa Maria della Pianta, identificativo, dal Cinquecento a oggi, della chiesa su via Tripoli. Un’incisione antica imprime il fatto, tuttavia è giusto dire che in altre frazioni si tramandano accadimenti prodigiosi legati ad alberi.
Accanto a Pianta e a Villa Trentulae sopravviveva almeno fino a tutto il medioevo il toponimo Plancola citato nel 1371 dal cardinale Anglico di Grimoard. Per esempio, nel Quattrocento si fa menzione di un luogo di culto misterioso, situato a metà strada tra via Correcchio e via Tripoli, chiamato Sant’Ellero in Plancola. Pur essendo in territorio forlivese, apparteneva alla diocesi di Bertinoro. Anche in questo caso, più che pietre, rimangono nomi, i nomi dei rettori: Marco de la Cura, Pietro Foratassi, Lorenzo de Oliveriis. La Villa Plancole corrisponde all’odierna Pianta e sembra un’assonanza o una derivazione di nomi. O forse no? Non pare: “plancola” ricorda più una pianura e ciò, in effetti, vorrebbe dire, terra piatta, tavola, asse a guisa di ponticello sopra un rigagnolo. Insomma, par proprio che fosse una distesa di terre fertili e ben coltivate, tanto che i monaci di San Mercuriale, economi accorti, vi posero ben presto gli occhi. Ma nell’Italiano proprio dei tecnici, la palancola è una passerella (orizzontale) oppure una trave stretta e lunga che viene conficcata come palo (verticale) nel terreno. Allora è impossibile non fare un salto storico pazzesco e scriteriato, che vuol agganciare la tradizione di questa frazione tranquilla e rurale all’età del bronzo.
Tra il 2008 e il 2009, nel corso dei lavori per la tangenziale, nei pressi del Cimitero Monumentale venne scoperto un centro abitato risalente a più di quattromila anni fa. Emersero dai secoli ampie abitazioni a pianta absidata allineate in parallelo, vicine a magazzini, recinti e pozzi. Si vide pertanto una Forlì molto prima di Livio, difficile sapere quanto grande perché gli scavi si estero per poco più di mezzo ettaro. Chiare erano le tracce delle palancole che sorreggevano il tetto: buchi circolari, proprio di pali conficcati nel terreno. Furono trovati pure alcuni manufatti per lo più in ceramica. Che le radici di questa Pianta affondino così in là nel tempo? Ora come ora il passato attende di essere pubblicamente evidenziato e, contestualmente, il Museo Archeologico Santarelli (con un allestimento consono comprendente pure le recenti scoperte) deve essere dissepolto per permettere ai forlivesi di scoprire da dove vengono.
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