A metà del Duecento sorge una meteora della storia di Forlì: Simone Mastaguerra. Fu un tiranno o un campione di libertà?
In un periodo lontano della storia di Forlì comunale, quando nemmeno gli Ordelaffi erano così potenti, emerse una figura controversa che evidenzia tutti i limiti della storiografia. Simone Mastaguerra, infatti, è un perdente: ciò che venne scritto di lui fu terribile e ora riesce difficile risalire a una parvenza di oggettività. In quel 1257 tutto sembrava assai confuso, in un clima forzato di pace tra guelfi e ghibellini (che a dire il vero pare scontentasse tutti) nel bel mezzo di fastidiose ingerenze di Bologna, ecco una figura oscura di cui sfugge perfino il nome esatto (Mascaguerra, Mastaguerra, Mestaguerra). Chi era costui? Si sa che può essere definito, almeno per tre anni, Signore di Forlì.
Le fonti antiche, o perdute o reticenti o di parte, più che altro tacciono, quasi vergognandosi di citare quel nome. Sul finire del Quattrocento, Leone Cobelli si limita, in tre righe latineggianti, a dire che nel 1257 Andrea Mascaguerra fu ucciso dalla famiglia di Peppe Peppi (de Pepis), Atiberto (o Tiberio), Giovanni, Guidone, Aliotto e Bartolomeo. In seguito venne dato fuoco alla sua casa. Ben si guarda dal citare Simone e la sua sorte.
Nell’Ottocento, invece, la figura di Simone Mastaguerra divenne interessante da un punto di vista romantico, politico, insomma, proprio dell’afflato del secolo. Egli, infatti, veniva tratteggiato come “capopopolo”, “nato di plebe, ma che a non comune ingegno accoppiava una qualche istruzione”. Costui, “a trent’anni, dotato di una grande forza fisica e facile nella loquela” si lanciò nell’impresa di far sua la sua città. Queste parole sono tratte da un romanzo storico di Bartolommeo Fiani intitolato “L’assedio di Forlì”, pubblicato nel 1869. Qui si legge di vicende ambientate nella Romagna di quegli anni e Mastaguerra si trasforma in un personaggio eroico, tragico, da melodramma: il Signore plebeo. Oggi sarebbe degno di una serie televisiva.
“Una bella mattina di primavera successa a una notte tempestosa, - si legge nel romanzo - dopoché, uscito allo spuntar dell’alba dalla città per la porta Valeriana, procedeva solingo a diporto per la campagna. Egli aveva preso il sentiero conducente a Castrocaro, come quello che più solitario, ed ombreggiato era, per abbandonarsi alle sue meditazioni con tutta libertà, e senza pericolo d’esserne distratto. Armato di lungo nodoso bastone dal pomo ferrato, che egli usava portare quando gli occorreva batter la campagna, non tanto per propria difesa, (…) egli incedeva col capo piegato sul seno passando colla mente in rivista tutte le possibili eventualità dell’impresa che andava meditando”. Ecco dunque che, in mancanza di univoche voci storiche, compensa la fantasia, fantasia ancorata a una vicenda verosimile che vuol rendere il “tiranno” un campione di quel popolo che vuol liberarsi dai soliti (pre)potenti.
“Simone, salito al supremo potere per forza di plebe, per quanto il suo governo procedesse a principio mite ed umano, e con savie leggi si fosse fatta aderente la maggioranza dei cittadini, tuttavia, mal visto era dall’ordine nobile della città, che non poteva dimenticare l’origine d’una Signoria sorta coll’umiliazione e sulle ruine del patriziato”. Si aggiunge, però, che aveva dei problemi anche con i ceti umili: “non riusciva più a tenere in freno” la plebe che “minacciava da vicino la dissoluzione di ogni civile e sociale ordinamento”. Quindi non era un demagogo, il buon Simone: era un popolare che ha governato Forlì con giustizia. Almeno ciò si vagheggiava secondo lo spirito del tempo e piace ancora oggi immaginarlo così. Ha avuto contro tutti, e primo di tutti, in modo subdolo, Andrea, quel parente tanto stretto quanto lontano. Il romanzo prende subito le parti: se Andrea è “ribaldo”, a Simone tutti i cittadini riconoscono “mitezza ed umanità”.
Si diffuse una generale indignazione, qua e là sorgevano capannelli e serpeggiavano mugugni e malcontento. “Agli imprigionamenti seguirono processi sommari nei quali gli stessi delatori erano accusatori e testimoni, ed agli accusati veniva negato il diritto alla difesa. Molti cittadini ebbero mozza la testa; contro i nobili fu decretato il bando e la confiscazione dei beni”. E “fece arrestare Alloro e Teobaldo Ordelaffi, Giovanni Pungetti, Orsello Orselli, un Calboli, un Orgogliosi, un Clarici, un Numai, Dentacoro Merlini Zotti e Berengario Laziosi (padre di San Pellegrino)”, definiti “i più distinti ed autorevoli cittadini”. Insomma, “non vi fu un cittadino che in un modo qualunque non patisse ingiuria”; nessuno, a parte Guido Bonatti l'intoccabile, venerato anche dai nemici. Costui, quindi, convocò “nel palagio Còrbizi” di Castrocaro una riunione tra fuoriusciti per gettare le basi della rovesciamento del tiranno.
In effetti ciò accadde e fu nominato un governo provvisorio di larghe intese guelfo-ghibelline con Alloro Ordelaffi, Giovanni Orgogliosi e Francesco Calboli. Andrea Mastaguerra era morto durante l’insurrezione, Simone era fuggito ma dovette scontare la pena del bando perpetuo dal territorio di Forlì. Ecco dunque, Simone Mastaguerra sarebbe stato anche un buon Signore e i forlivesi glielo riconoscevano: per la fantasia di Fiani era del tutto ignaro delle atrocità commesse da Andrea durante la sua infermità. Andrea il Signore cattivo, Simone il Signore buono, entrambi sconfitti dalla storia. La politica liviense venne diserbata dalla malapianta dei Mastaguerra per l'eccesso tracotante di uno dei due fratelli.
Dunque, oltre a suggestioni letterarie, che indizi rimangono? Più che altro eco di domande. Simone Mastaguerra: che sia stato tiranno o campione di libertà resta un mistero. Esecrato da alcuni, idealizzato da altri, si pone ai posteri una sentenza impossibile. Pare però che fosse un “ignavo”, né guelfo, né ghibellino, per mitezza o per interesse, e abbia saputo essere mediatore tra le fazioni fino a sfruttare le comuni debolezze onde acquisire potere. La sua “terza via” non fu apprezzata e venne tolto di mezzo da guelfi e ghibellini fino a scomparire dalla storia, cancellato come una vergogna, probabilmente pure calunniato da cronisti cari al potere consolidato. Dopo di lui, le cronache sembrano tirare un sospiro di sollievo.
Commenti
Posta un commento