Al mercato col morto

6 novembre 1719: a Forlì c’è un cadavere nudo in mezzo alla piazza, uno degli omicidi impuniti del tempo

6 novembre 1719, è lunedì, giorno di mercato. La “pubblica piazza”, cioè il campo dell’Abate che poi prese il nome del triunviro Saffi, è gremita di gente che si assiepa davanti a un catafalco improvvisato e costruito in fretta e furia: sopra vi è un uomo nudo, uno sconosciuto, il suo corpo mostra segni di percosse, gonfio, pietosamente sebbene con approssimazione pulito dal sangue che sgorgava dalle ferite che l’avevano sfigurato. La gente parla, s’informa, e viene a sapere che la sera prima, in una bettola della tranquilla Forlì, era stato ammazzato un forestiero: ora il suo corpo era lì, davanti alla popolazione, per cercare qualcuno che avrebbe potuto riconoscerlo. La scena è vista con “orrore e compassione” da chi si accingeva a far compere al mercato e con “biasimo de’ superiori”. 

Non c’era un solo colpevole, l’omicida che aveva condannato quello sconosciuto a giacere “ignudo e tutto rotto ne’ membri per la violenza della notte patita”. L’altro imputato, infatti, era la giustizia che lascia “impuniti altri delitti”. Si ricorda, infatti, che proprio nei dintorni di quella bettola “erano seguiti altri due fatti criminali di ferite mortali pochi mesi prima”. In effetti, nel sommario del taccuino che contiene questa cronaca, vengono rubricate “uccisioni improvvise di persone ordinarie". Non si sa, poi, se qualcuno riconoscerà l’ucciso, di questo non si cura il cronista; quasi certamente non era originario di Forlì e a Forlì nessuno lo conosceva, a parte il suo assassino che, nottetempo, gli aveva tolto la vita. 

In queste cronache di un Settecento nero, notturno, però, non si tratta solo di “persone ordinarie” cadute per mano della volontà altrui. Tornando qualche pagina indietro, si scopre che il 18 ottobre di quell’anno, “su le 23 hore” venne “miseramente ucciso sul cantone della pubblica piazza” il “Bargello del Vescovo” chiamato popolarmente con un nome bizzarro: “Tint’all’erba” (altrove è “lo Sbirro”). Egli “con estrema temerità volle morire per un’archibugiata tiratale dal figlio del Bargello della Piazza”. Non si conoscono i termini per le rivalità tra bargelli (ufficiali di polizia), vero è che gli spari arrecarono un “pericolo manifesto di tanta gente che in quell’ora trovavasi a quell’intorno”. 

Tali episodi probabilmente inediti sono tratti da una cronaca manoscritta e compresa tra le carte del Fondo Dall’Aste Brandolini presso l’Archivio di Stato. L’estensore – in genere mite e nobilmente preso da ricevimenti di “dame e cavaglieri” - coglie l’occasione per lanciare un’intemerata: “Non è poi da stupirsi che essendo giunta a questo segno la giustizia de’ Preti, vi sia quasi dirsi motivo da invidiare quella de Turchi e d’altre più barbare nazioni”. Sì, certo, è mite, ma di tanto in tanto si notano frecciate contro la Capitale, in particolare contro “le sanguisughe di Roma”. La mancata azione tempestiva della giustizia, infatti, potrebbe favorire l’aumento esponenziale di delitti e “tanti si fanno lecito il commetterli” perché “sanno quanto sia leggero il castigo”. Il compilatore della cronaca non va per il sottile, auspicando la pena di morte: “un eccesso che dovrebbesi pagare colla sola vita dell’uccisore”, altro che “sfogare i capricci” a “prezzo fatto”, come dice esser consuetudine di quel tempo. Insomma: “per tale indulgenza si commettono anno per anno, più omicidi nel solo Stato della Chiesa che in tutto il restante della cristianità”. 

Il fenomeno è considerato “vituperio ben deplorabile” nella misura in cui “non facciasi caso della vita di un homo come di quella di un Bruto”. I malintenzionati, a detta del cronista, “passeggiavano la piazza pronti ad altro simmile eccesso, se il caso l’havesse portato”; insomma, continuano ad agire indisturbati e soprattutto impuniti. Un mese dopo, però, nota un fatto “assai piacevole” (!): cioè “fu data in pubblica piazza la corda”. Chi cadrà vittima della giustizia? “Uno che aveva finto un furto non vero di somma considerabile”, avrebbe detto “di essere stato svaligiato tra Immola e Faenza” pertanto di aver perso “tutto il denaro che portava ad un signore di Forlì”.


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